In queste settimane, nel calcio italiano si sta scrivendo un nuovo capitolo di una storica rivalità, quella che contrappone la Fiorentina alla Juventus.
Una sfida decisamente “anomala”, in quanto indubbiamente più sentita da parte viola che non bianconera, ma ciò nonostante una partita mai banale: incontri spesso contrassegnati da un agonismo sopra le righe, sfottò tra le curve (pochi) e polemiche a distanza (tante), sintomo di una rivalità che va ben oltre il rettangolo verde.
Al di là dei tradizionali confini nazionali, in questo 2014 lo scontro si riversa anche sul palcoscenico continentale, con un doppio confronto in Europa League che già nei primi 90 minuti ha mostrato tutte le incertezze e sorprese insite in una sfida del genere.
Quello odierno è solo l’ultimo dei “derby italiani” che hanno avuto come sfondo le coppe europee: una sequenza iniziata nel 1985-86 in Coppa dei Campioni, coi detentori della Juventus contrapposti agli scudettati dell’Hellas Verona, e proliferata poi nel corso degli anni novanta, quando la vecchia Coppa UEFA era in pratica divenuta un feudo del calcio tricolore.
Proprio la seconda manifestazione continentale per club è stata teatro dell’unico precedente “biancoviolanero” in Europa. Era la stagione 1989-90, e le due rivali si trovavano di fronte per un appuntamento ben più importante di quello attuale: in gioco c’era l’ultimo atto del torneo, in palio c’era la conquista del trofeo.
Una partita che già prima del fischio d’inizio aveva fatto la storia, poiché per la prima volta due compagini italiane monopolizzavano una finale europea.
A riguardarle oggi, le due maglie scese allora in campo ci fanno immediatamente tornare indietro nel tempo… a quando il nostro campionato era “il più bello del mondo”, e le sue casacche erano ancora intrise, seppur in minima parte, di quell’alone di tradizione misto a un’eleganza e semplicità che non passa mai di moda.
Tutte cose che le roboanti rivoluzioni stilistiche, deflagrate bruscamente nel decennio seguente, finiranno per accantonare senza troppi complimenti.
Il dinamismo viola
In quella stagione, entrambe le formazioni sembravano ancora soffrire dell’assenza dei loro ultimi leader, Antognoni da una parte e Platini dall’altra, che da qualche anno avevano lasciato le squadre con cui erano diventati grandi.
I viola, scivolati via dal novero delle big, si aggrappavano soprattutto all’astro nascente del calcio italiano, Roberto Baggio, un ragazzo dal futuro luminoso ma a tratti ancora acerbo.
Di contro, i bianconeri puntavano su una squadra “operaia” senza solisti di spicco, sopperendo con la forza e la compattezza del gruppo al divario tecnico che la separava dal Milan di Sacchi, dall’Inter del Trap, dal Napoli di Maradona e dalla rampante Sampdoria.
L’undici allenato da Ciccio Graziani — che subentrò in corsa in una stagione nata storta, portando la Fiorentina alla salvezza e a un’insperata finale di coppa — sfoggiava una “vera” maglietta viola. Realizzata dall’azienda parmense ABM, si permetteva l’unico vezzo di stile nella trama del tessuto, contraddistinta da una fantasia a pinstripes tono su tono.
Oltre al fiorentinissimo sponsor La Nazione scritto in giallo, sul petto spiccava soprattutto il cosiddetto “giglio alabardato”, lo stemma dell’epoca del club viola, un’innovazione voluta all’inizio del decennio dalla proprietà dei Pontello.
Un simbolo, obiettivamente, mai troppo amato dalla tifoseria, nato anche per ragioni commerciali, che sopravviverà fino al 1991 prima di venir pensionato dall’arrivo dei Cecchi Gori, che vireranno subito verso la tradizione col ritorno dello storico stemma romboidale.
Salta inoltre agli occhi l’uso dei pantaloncini bianchi delle origini, ormai un lontano ricordo per una formazione che già in quel decennio aveva iniziato a sperimentare il completo viola, e che a partire dagli anni novanta abbraccerà in pianta stabile la nuova muta monocromatica.
In definitiva, la divisa viola che chiuse gli anni ottanta è rimasta come una delle più classiche nella storia fiorentina — quando invece, proprio in questa decade la società toscana era stata tra le più vivaci sul versante stilistico, approfittando della scoperta di moda e marketing (settori ancora inesplorati, nell’Italia pallonara dell’epoca) per proporre una gran varietà di template, sempre diversi e audaci.
La tradizione bianconera
Tutt’altro discorso per la Juventus, che in quel decennio mantenne praticamente immutata la sua maglia bianconera, limitandosi unicamente a dei piccoli cambiamenti nel riempimento delle strisce, o nella fattura dello scollo.
Quella “JuventURSS” (così chiamata per l’ingaggio dei sovietici Alejnikov e Zavarov), guidata da Dino Zoff — che tra alti e bassi riuscì comunque a mettere in bacheca l’accoppiata Coppa Italia/UEFA —, era vestita dai concittadini di Kappa.
Un legame-monstre durato dal 1978 al 2000, che alle soglie degli anni novanta generava ancora delle casacche molto semplici e pulite, nel solco della tradizione.
Una divisa, abbinata ai canonici pantaloncini e calzettoni bianchi, che potremmo definire quasi senza tempo. Uniche concessioni alla modernità, l’inserimento dello sponsor Upim in un rettangolo nero (una soluzione che, coincidenza, ritroviamo oggi col marchio Jeep) e l’apposizione sul cuore della caratteristica “scatolina”.
Nata dopo la conquista del ventesimo scudetto — arrivato nel 1982, proprio dopo un lungo duello coi viola —, si trattava di un rettangolo bianco bordato d’oro che andava a contenere le due stelle bianconere, a mo’ di mostrina militare.
Un dettaglio vintage ma tutto sommato ancora attuale che, siamo sicuri, non sfigurerebbe neanche sopra le moderne uniformi.
Rispetto alla Fiorentina, spicca in questo caso l’assenza di uno stemma societario, che sulle maglie bianconere farà il suo debutto solamente nel 1994. L’uso del canonico scudo ovale juventino era infatti riservato, all’epoca, all’aspetto prettamente societario.
In quel periodo era invece salito alla ribalta un nuovo simbolo, per certi versi più affine al mondo delle mascotte, la silhouette di una zebra rampante; creata nel 1979, sarà usata nella comunicazione del club fino alla metà degli anni novanta, quasi soppiantando agli occhi dei supporter lo storico stemma.
Nonostante possa ricordare, a livello grafico, il torello rampante dei cugini granata, tale logo è tuttora apprezzato e sfoggiato da una discreta parte della tifoseria bianconera, e chissà che il suo uso non possa essere riscoperto in futuro.
Tra passato e futuro
Ventiquattro anni dopo quella finale di coppa, inevitabilmente le maglie delle due squadre sono molto cambiate. Ciò nonostante, le casacche oggi indossate da Gómez e Vidal, griffate rispettivamente Joma e Nike, mostrano alcune similitudini con le loro storiche antenate.
Due uniformi, quelle della stagione 2013-14, che rispecchiano tutti i crismi di viola e bianconeri, con un’impronta stilistica semplice quanto efficace; la stessa che già ritrovavamo in quelle maglie del 1990.
Starà al futuro decidere se anche le mute del nuovo millennio, come quelle del vecchio secolo, resteranno nella storia o si riempiranno di gloria.