Quando sono nati e come si sono evoluti gli stemmi delle squadre di calcio in Italia? Quali sono le radici profonde di questi segni così differenti da tutti gli altri marchi? E qual è la reale importanza di avere un buon logo per un club calcistico?
La rubrica “Stemmi e Araldica” – Introduzione
Il calcio in Italia accende gli animi fin dai primi del ‘900 ma attualmente è anche catalizzatore di cambiamenti economici e sociali importanti.
Attraverso questa rubrica ci riproponiamo di andare a ricercare la reale importanza dei loghi calcistici e capire il perché questi abbiano un valore simbolico intrinseco superiore a qualsiasi altro logo.
Infine, in un secondo momento, cercheremo di chiarire cosa sia un brand sportivo e concetti come: brand image, brand loyalty, corporate image e brand awareness, per stabilire, anche attraverso i termini commerciali entro i quali si muove attualmente il pallone, quale sia il valore di una buona immagine per la squadra.
Queste ricerche scaturiscono da un’indagine personale e mi è doveroso sottolineare quanto la presenza del prof. Savino Russo sia stata fondamentale, all’inizio di questa analisi, per stabilire un fil rouge poiché, oltre ad essere stato, negli anni ’80, uno dei grafici coinvolti in quella rivoluzione che ha portato molte squadre a rinnovare stilisticamente il proprio marchio (è lui infatti l’autore dei celebri satanelli che sono stati il simbolo del Foggia negli anni 90), è anche un ottimo conoscitore della simbologia araldica.
C’è sempre stato, negli stemmi delle squadre, qualcosa che ci affascinava senza mai capirne i reali motivi. Se c’è qualcosa su cui mi è sempre piaciuto soffermarmi è proprio l’anatomia di questa pseudoaraldica fatta di animali, segni e colori tanto vivaci e sempre sgargianti. È giunto il momento di articolare per bene tutte queste riflessioni e questa rubrica sarà l’occasione per mettere nero su bianco quanto scrutato e indagato, anche in maniera personale, in quei numerosi momenti di osservazione.
Forse diremo qualcosa di scontato per alcuni, altre volte invece potremmo avere bisogno di voi per scoprirne delle altre, tuttavia partiamo dall’inizio. Dall’inizio dell’inizio.
Gli albori del calcio in Italia e i primi stemmi
I primi stemmi delle associazioni calcistiche italiane, a quanto pare, non ricoprivano un ruolo centrale nella composizione dell’immagine identificativa dei club, molte squadre sembra che ne fossero addirittura prive e sicuramente non è stato necessario riprodurli sulle casacche prima degli anni ’80. Maggiore importanza era invece ricoperta dai colori sociali, attraverso i quali venivano identificate le squadre dagli spettatori durante le partite che, comunque, non godevano dell’attuale attenzione da parte dei media di inizio novecento, molto più interessati alle gesta dei campioni sulle due ruote, veri eroi nazionali per la cultura dell’epoca.
È lecito pensare che il primo pallone di cuoio sia rimbalzato su suolo italiano poco dopo il 1880, al seguito di qualche marinaio britannico. Si racconta di piccole folle incuriosite in prossimità dei porti di mare, seguire le evoluzioni di improvvisati calciatori (footballers, come sarebbero stati chiamati nei primi decenni anche in Italia), quasi tutti di lingua inglese, che approfittavano delle ore libere per organizzare partite e diffondere involontariamente il germe del calcio.
Se è vero che i primi centri toccati dal “virus” si affacciano sul mare (Palermo, Napoli, Livorno e Genova), i marinai inglesi non sono sufficienti a scatenare una vera e propria epidemia. Ci vorrà un viaggio di lavoro di un rappresentante industriale, Edoardo Bosio, che nel 1887 rientra a Torino dall’Inghilterra portando con sé alcuni palloni e, molto probabilmente, una copia del regolamento di gioco. È così che Torino, per le ragioni che descriviamo più avanti, può considerarsi il più efficace centro di irradiazione dal calcio in Italia.
Siamo in un momento storico in cui si manifestano in Italia le conseguenze della cosiddetta rivoluzione industriale. Lo sviluppo delle aziende tessili britanniche, soprattutto nelle zone di Nottingham, mette in circolazione in tutta Europa numerosi tecnici capaci di insegnare, fra l’altro, l’utilizzo dei nuovi telai meccanici per tessitura maglieria. Uno di questi è Herbert Kilpin. Nato a Nottingham il 24 gennaio 1870, si trasferisce a Torino nel 1891, poco più che ventenne. Sono con lui i concittadini Tudor Gordon Savane e Henry W. Goodley, quest’ultimo avrebbe in seguito portato le casacche bianconere della Juventus dal Notts County.
Di buona famiglia, Kilpin aveva giocato nel Notts Olympic e nel St. Andrews in qualità di dilettante. In patria, in un’epoca in cui già si parlava di professionismo, altro non era che un modesto praticante. In Italia si apprestava a diventare un mito, maestro di tutti i primi calciatori.
Coagulando attorno a sé la passione e l’ardore dei primi sportsmen della borghesia e dell’aristocrazia piemontese, dà vita già nel 1891 alla prima società calcistica italiana: l’International Foot-Ball Club di Torino, in cui confluiscono molti degli appassionati contagiati poco tempo prima da Bosio. Tutto ciò avviene quasi tre anni prima della fondazione del Genoa, la squadra italiana più antica tuttora in attività. Nasce così il primo grande club sportivo italiano dedito esclusivamente al calcio, aperto al contributo di soci-giocatori di varia provenienza, che fuor d’ogni dubbio denunciava col proprio nome, orgogliosamente, la propria matrice internazionale.
La storiografia tradizionale ha spesso identificato la nascita del nostro calcio con la costituzione della Federazione Italiana di Football nel 1898. Tuttavia, quando il pallone di cuoio comincia a rotolare per la penisola, è spinto soprattutto dalle associazioni ginnastiche che, forti di una rete organizzativa collaudata, istituiscono con relativa facilità le prime sezioni dedicate al calcio con l’appoggio della Federazione Ginnastica Nazionale.
I primi adepti si avranno a Genova dove oltre al Genoa Athletic Club scalciava anche l’Andrea Doria, a Milano con la Mediolanum e a Bologna nella Virtus. Fuori dalle grandi città, anche centri come Vercelli (con la Pro Vercelli), Udine (con la Società di Ginnastica e Scherma Udinese) ed altri ancora aderiscono con entusiasmo. Solo il Centro-Sud rimane all’inizio un po’ isolato con esperienze sporadiche a Roma, Napoli e Palermo.
Nel 1895 tuttavia, a Roma, in occasione dei periodici concorsi nazionali a cadenza triennale organizzati sotto l’egida della Federazione Ginnastica fin dal 1889, ha luogo per la prima volta un’esibizione calcistica e per mantenere vivo l’interesse nelle varie discipline, fra un concorso e l’altro hanno luogo campionati nazionali per particolari specialità. Corre infatti il 1896 quando viene messo in palio il primo titolo ufficiale nella storia del calcio italiano assegnato alla formazione di Udine che vince il campionato organizzato nell’ambito della Gara Nazionale di Giuochi Ginnastici, tenutasi a Treviso nel mese di settembre.
Il 1899 è un anno significativo per la storia del nostro calcio. Poche settimane dopo l’assegnazione del secondo campionato, ancora nella Torino sede della F.I.F. (Federazione Italiana del Football) fondata l’anno precedente, scende in campo la prima rappresentativa italiana, pur composta quasi esclusivamente da footballers nati all’estero, contro una selezione elvetica. Non si può certo parlare di Nazionale per la quale bisognerà attendere ancora dieci anni, ma comincia ad affiorare l’idea di una rappresentativa del nostro calcio.
Intanto, ancora nella vivacissima Torino, inizia a disputare qualche gara ufficiale lo Sport Club Juventus, sorto due anni prima per iniziativa di alcuni studenti del liceo D’Azeglio, e, sempre nel 1899, si completerà anche nel calcio il triangolo Genova-Milano-Torino, sinonimo della grande crescita industriale del nostro paese, ancora una volta per merito di Mr Kilpin che contribuirà alla fondazione del Milan Foot-Ball and Cricket Club scegliendone i colori con queste parole: «Saremo una squadra di diavoli. I nostri colori saranno il rosso come il fuoco e il nero come la paura che incuteremo agli avversari!». In seguito, nel 1908, alcuni soci dissidenti (dalle provenienze geografiche più svariate), se ne distaccheranno per fondare il Football Club Internazionale Milano.
Nel primo decennio del ‘900 il panorama calcistico nazionale comincia ad assumere una prima composizione più variegata anche se non omogenea sul territorio, si moltiplicano le squadre ma molte di esse appartengono ad una stessa realtà cittadina.
Il diffuso settimanale Lo Sport Illustrato presenta nell’edizione del 30 ottobre 1913 le squadre partecipanti al campionato (non tutte, mancano le centro-meridionali tra cui la Lazio, arrivata seconda dopo la finale con il Casale).
La copertina mostra al centro una bella illustrazione di un’azione di gioco attorno alla quale sono rappresentati degli scudi con i colori sociali di tutte le squadre. Questo conferma come le maglie fossero il vero segno distintivo di una società calcistica, tuttavia attraverso le foto ed i documenti dell’epoca sappiamo che alcuni club avevano già degli stemmi da sfoggiare sulle divise. Sulle camicie da gioco dei primi anni del Milan è possibile individuare un taschino a toppa bianca crociato di rosso: lo stemma del comune di Milano, mentre in un’altra storica fotografia raffigurante il calciatore dell’Inter Aldo Cevenini è possibile riconoscere uno scudo con all’interno il serpente visconteo-sforzesco, altra nota effigie meneghina.
Anche i giocatori della Pro Vercelli e del Novara in alcune foto rispettivamente dei campionati 1911-12 e 1914-15 portavano cuciti sul petto gli stemmi dei comuni d’appartenenza. Si deduce quindi che le squadre, anche in quei pochi casi in cui avessero dei propri loghi ben definiti, preferissero utilizzare sulle proprie divise un emblema cittadino o quantomeno legato alla loro area geografica.
L’Internazionale, ad esempio, fin dalla sua fondazione nel 1908 era in possesso del logo tutt’ora utilizzato (con minime variazioni di restyling). Lo storico primo logo, infatti, fu disegnato dal cartellonista e pittore Giorgio Muggiani, socio fondatore del club nonché segretario della società. Abbiamo già visto però come sulle divise, nel caso in cui ci fosse uno stemma, cosa comunque rara e discontinua, apparisse il cosiddetto “biscione”.
Pure la Juventus adottò, se non dal suo esordio, almeno fin dai primi del ‘900 il noto stemma ovale a strisce verticali bianche e nere. Lo possiamo vedere stampato su una tessera sociale d’inizio secolo ed è praticamente rimasto invariato fino al restyling che lo ha investito nel 2004. Nell’immagine il logo è nella sua versione con lo sfondo del nome del club di colore blu Savoia, omaggio alla tradizione sabauda di Torino, e di forma concava. Lo sfondo dello stemma civico è anch’esso in blu Savoia, mentre il toro e il nome del club sono di colore giallo-oro.
Un cimelio calcistico molto ricercato dagli appassionati che però innesca alcune interessanti riflessioni sul piano grafico è la spilla da giacca della Pro Vercelli che ci dà testimonianza di un logo calcistico di una tra le più titolate squadre dei primi del secolo.
La società nel corso dei decenni andrà incontro ad un declino tanto grave da farle perdere svariate volte lo status professionistico ma proprio per questo la testimonianza acquista maggiore interesse. Il logo non ha dovuto adeguarsi nel tempo alle necessità di mercato di un grande club dei nostri giorni, di conseguenza ci dà la possibilità di osservare, liberi da sovrastrutture preconcette, i caratteri puramente estetici di tale stemma, cristallizzati nel tempo e che, per certi versi, appaiono addirittura naïf.
In fondo, senza molte preoccupazioni riguardo all’originalità, si trattava dell’ennesimo scudo crociato, ma il gusto dell’epoca è ben riconoscibile nella composizione che molto traeva da quella sinuosità liberty che aveva invaso da tempo ogni aspetto estetico dell’Europa di inizio secolo.