Durante la I Guerra Mondiale anche il mondo del calcio paga il proprio contributo all’intervento bellico. Il campionato, che vede affermarsi le prime squadre centro-meridionali, Lazio, Roman, Internazionale Napoli e Naples, subisce una brusca interruzione.
Molti giocatori saranno chiamati alle armi e perderanno la vita al fronte, compresi alcuni oriundi che in Italia speravano di ritrovare le proprie radici grazie al gioco del pallone. È un periodo difficile per tutti, ma il calcio continua a dare segni di vitalità. Nei primi mesi di guerra nasce Hurrà!, il primo periodico interamente dedicato ad una società di calcio: la Juventus. Un’anticipazione straordinaria dei tempi, solo nel dopoguerra altri club (Genoa e Torino tra i primi) ne seguiranno l’esempio.
Dopo la guerra si assiste ad una serie di scismi federali, dovuti sostanzialmente all’aumento esponenziale delle squadre partecipanti al campionato di massima serie e alle conseguenti misure per far fronte al problema le quali, spesso, erano tutt’altro che ampiamente condivise. Questa situazione portò più volte allo svolgimento di due campionati paralleli, uno ufficiale organizzato dalla FIGC ed altri dagli enti dissidenti, LIGC prima e CCI poi. La spaccatura si ricucirà alle porte dei cruciali eventi che ne condizioneranno la storia futura.
Nel 1922, proprio durante la settimana della Marcia su Roma, riparte in sordina il campionato di calcio, suddiviso in due gironi, uno settentrionale e l’altro meridionale. Quell’anno sarà stravinto dal Genoa che imbattuto giungerà in finale e poi andrà in tournée in Sud America, dove scoprirà una folta schiera di giocatori di origine italiana che presto avrebbero arricchito il nostro calcio. Proprio a Genova, sulla spinta delle prodezze rossoblù, nasce il settimanale Il Calcio, a detta degli esperti una delle più belle riviste tematiche mai edite in Italia: accurato nelle informazioni e, fatto straordinario per l’epoca, ricchissimo d’immagini, contribuì a divulgare la conoscenza di squadre e giocatori.
Tra le notizie degne di nota in quegli anni c’è da annoverare, inoltre, in data 24 luglio 1923, l’ingresso del grande capitale nel mondo del calcio. Edoardo Agnelli, figlio del fondatore della FIAT, venne eletto presidente della Juventus e gli esiti non si fecero attendere. Il primo atto concreto fu l’acquisto di Virginio Rosetta, poderoso terzino, già due volte campione italiano con la Pro Vercelli. Per la prima volta in Italia si parlò in maniera esplicita di compravendita di calciatori.
Nell’agosto 1926 viene eletto alla presidenza della FIGC il gerarca romagnolo Leandro Arpinati, con spostamento della sede federale presso la Casa del Fascio di Bologna. Il campionato 1926-27 porta così grandi novità: non ci sono più suddivisioni tra Nord e Sud ma due gironi trasversali con squadre di tutta Italia (o quasi, il club più a Sud è il Napoli) e il regolamento prevede che le prime tre classificate di ogni girone disputino un torneo finale con gare d’andata e ritorno: sarà il primo scudetto del Torino.
In quegli anni nasceranno moltissime squadre in altrettante città, spesso frutto della fusione di più club tra loro concittadini. La Roma vede la luce il 22 luglio 1927 dall’unione tra Alba, Fortitudo e Roman mentre a Genova, nel gennaio 1928, nasce La Dominante dall’unificazione tra Sampierdarenese e Andrea Doria. Il sodalizio avrà vita breve ma come sappiamo le due società, tornate autonome, nel ’46 si riuniranno per dare vita alla più fortunata Sampdoria. Il nuovo club fu costituito per volere del regime fascista, che propugnava in quel periodo una decisa politica delle fusioni tra squadre concittadine, per ridurre le forti rivalità tra gruppi di tifosi della stessa città e per garantire al maggior numero possibile di città la presenza nel massimo campionato nazionale. Per la società venne appositamente costruito lo Stadio Littorio di Cornigliano e venne creata una divisa completamente nera, colore gradito ai gerarchi fascisti locali, alla quale furono aggiunti risvolti prima bianchi poi verdi.
Lo stemma sul petto raffigurava un grifone affiancato da un fascio littorio ed una D verde, mentre il nome scelto era uno degli antichi appellativi della Repubblica Marinara di Genova e voleva rappresentare, con la tipica retorica del tempo, l’appartenenza della squadra all’intera città. I tifosi dei due antichi club dissolti però non gradirono la fusione, il nuovo sodalizio non fu mai particolarmente amato ed ebbe vita piuttosto breve.
In effetti, a proposito di loghi, in quel periodo fu tutto un fiorire di fasci littori, com’è possibile rilevare da un interessantissimo reperto: la serie di cartoline dell’illustratore Maggioni (in arte Magia), pubblicate nel 1928 dall’editore milanese Giacomi che rappresentano le 32 squadre che, in due gironi, si contenderanno i posti disponibili per la futura Serie A.
Siamo nella stagione sportiva 1928-29 e l’anno successivo è prevista l’istituzione del girone unico come pianificato dalla Carta di Viareggio. In anni in cui raramente i giornali utilizzano la stampa a colori, queste cartoline forniscono una guida indispensabile per divulgare e la conoscenza delle tenute da gioco e degli stemmi dei vari club dell’epoca.
Tra le squadre della massima serie, oltre al già citato sodalizio genovese, l’infausto simbolo appariva anche sugli stemmi del Bari, dell’Ambrosiana e dalla Lazio, tuttavia una miriade di club in ogni divisione adottò, per volere o imposizione, il fascio littorio all’interno del proprio emblema. Come la Dominante, tra l’altro, anche l’U.S. Bari nacque in seguito ad una fusione coatta per volere del regime. La squadra pugliese fu il prodotto dell’unione tra le formazioni dell’Ideale e dell’F.C. Bari e la stessa sorte toccò, solo per fare degli esempi illustri, tra la Palestra Ginnastica Fiorentina Libertas ed il Club Sportivo Firenze per formare l’A.C. Fiorentina e tra le già citate Alba, Fortitudo e Roman per la Roma. A Napoli invece già da quattro anni si aveva una rappresentante unica, l’Internaples, frutto della fusione tra Naples e Internazionale di Napoli; a spingere il giovane Giorgio Ascarelli, poliedrico presidente partenopeo di origine ebraica, a cambiare denominazione alla società fu probabilmente il fatto che il nome Internaples fosse sgradito al regime fascista.
Per capire meglio quanto il volere del regime fosse influente anche in ambito calcistico risultano particolarmente esemplari le vicende legate alla nascita dell’Ambrosiana.
Quando alla fine del campionato 1927-28 Ernesto Torrusio, braccio destro del gerarca fascista di Milano Rino Parenti e presidente della U.S. Milanese (terminata seconda nel campionato di Prima Divisione girone B) vide la possibilità di essere ammessi in Divisione Nazionale, decise di imporre all’Internazionale la fusione. L’Internazionale non solo aveva un nome scomodo, ma a differenza del Milan non aveva una dirigenza allineata al regime o protetta in alte sfere. La beffa fu soprattutto quella subita dai dirigenti nerazzurri, messi al corrente della fusione a giochi già fatti. Per volere di Torrusio, la squadra cambiò nome e anche la maglia nerazzurra fu abbandonata per una divisa bianca con una croce rossa (simbolo di Milano) e il fascio littorio al centro della divisa. Il nome Ambrosiana naturalmente derivava dal santo patrono di Milano.
Il campionato 1928-29 fu un insuccesso: la squadra finì 6ª nel girone B di qualificazione alla Serie A. Anche dal punto di vista economico insorsero gravi problemi e, per salvare la situazione, visto che Ernesto Torrusio era stato “dimesso” dalla carica di Vice-Podestà e le forze finanziarie su cui egli contava si erano eclissate, il Fascio Milanese e le gerarchie sportive in seno al D.D.S. (che infruttuosamente si erano adoperate per risolvere la situazione), chiesero l’intervento dell’ex presidente del Casale, Ingegner Oreste Simonotti, che rimise in sesto la società ripianando i debiti e conquistando alla fine del campionato 1929-30 il primo scudetto dell’Ambrosiana (il terzo della società). Con Simonotti si tornò alla maglia nerazzurranella stagione 1929-30 e sul petto era presente uno stemma circolare a scacchi bianchi e neri, in ricordo dei colori dell’Unione Sportiva Milanese. Con la vittoria del titolo nazionale e la presenza dello scudetto sparì però lo stemma circolare e gli scacchi trovarono il loro posto sul colletto della divisa. All’epoca, tuttavia, al fianco dello scudetto era comunque presente, ancora una volta, il fascio littorio.
Il governo fascista comprese subito la popolarità e il potenziale del gioco del calcio, “ma solo dopo la guerra quello sport conobbe il suo massimo successo”, commenta lo storico Simon Martin, autore di Football and Fascism – The national game under Mussolini.
“È scontato che alcune tra le prime squadre nacquero tra il 1880-90, ma il gioco esplose soprattutto dopo la prima guerra mondiale. Ed è una delle ragioni per cui i fascisti vollero assumerne il controllo. Una volta introdotto, il calcio ebbe un successo travolgente, più che altrove. Fu soprattutto dovuto all’avanzare dell’industrializzazione. Non è un caso infatti che il gioco esplose nel Nord, nel triangolo industriale dove le imprese cominciavano a pubblicizzare lo sport, sia per moventi filantropici, che per ragioni di controllo sociale. Non era in realtà uno sport molto importante nel Sud, a causa della grande estensione delle aree rurali, infatti la mancanza di grandi città non permetteva la presenza della folla di cui si aveva bisogno. L’evoluzione del gioco era strettamente connessa alla crescente industrializzazione, che avvenne abbastanza tardi in Italia”.
La combinazione tra la popolarità dello sport nel 1920, ed il clima di tensione sociale che portò il fascismo al potere, diede al calcio l’attenzione del regime.
“I fascisti furono abbastanza astuti in questo periodo in quanto riconobbero nel calcio la sua vera natura: uno sport amato dalle masse. Era quindi davvero l’unico mezzo di cui disponevano per raggiungere la società di massa. Poco importa se accadeva tramite coloro che guardavano gli incontri, o tramite coloro che leggevano i giornali, o che ascoltavano altri leggere i giornali. Erano entusiasti all’idea di attaccarsi ad uno sport nazionale, ed il calcio aveva questo ruolo. Non ebbe nessuna imposizione nel divenire uno sport fascista. Queste squadre dovevano essere capeggiate da fascisti. In un certo senso accadde automaticamente, con la creazione di una lega nazionale. Con la Serie A, vollero creare un senso d’identità nazionale. Quindi, piuttosto che avere diverse leghe, come la Lega Campania, la Lega Lazio, vollero una lega nazionale unica, che dicesse ‘questa è un’unica nazione’, così il Napoli si sarebbe spostato fino a Torino per incontrare la Juventus. Nel contempo capirono che per avere una lega nazionale non potevano esserci troppe mini squadre. Arpinati era il Presidente della federazione calcio nel mentre, e fu proprio lui a rendersi conto di tutto ciò. Disse alle squadre che se volevano far parte della lega dovevano mettere insieme le proprie forze”.
Naturalmente, come in ogni piano di comunicazione per le masse, l’immagine ricopriva un ruolo fondamentale. Il colore nero sulle maglie della Dominante ed i fasci cuciti sulle divise, accanto agli scudetti e stampati come simbolo di una squadra riuscivano davvero a raggiungere una enorme fetta di popolazione.
In questi anni, dunque, risulta interessante analizzare come si riesca ad intravedere in embrione e sotto forma di propaganda politica quel potenziale che esploderà solo molto più tardi attraverso la trasformazione delle squadre da associazioni in S.p.A., quando i club compresero il reale potere di mercato che avevano tra le mani e la forza economica dei loro marchi.
Questo articolo è dedicato a Savino Russo, guida insostituibile durante i primi passi di questa ricerca, venuto a mancare improvvisamente pochi giorni fa.