Sedici dicembre millenovecentotredici. Una filastrocca che a Parma conoscono fin troppo bene, una data fondamentale nella storia del calcio cittadino. Un secolo fa prendeva il via quel cammino che, tra successi e delusioni, cadute e risalite, prosegue intatto fino ai giorni nostri.
Spesso una maglia da calcio rappresenta lo strumento migliore con cui raccontare la storia di un club. Ciò è ancor più vero nel caso del Parma, una società che nei suoi cento anni di vita ha vissuto sulle sua pelle un turbinio cromatico forse unico nel panorama italiano.
Attraverso le diverse casacche sfoggiate negli anni, vogliamo addentrarci nel variopinto peregrinare parmense: per ricordare e talvolta scoprire angoli nascosti della sua storia, ma soprattutto capire il perché di quel burrascoso fermento stilistico che solo in tempi recenti ha trovato una sua quadra.
Mettetevi comodi, il viaggio sta per cominciare.
Overture a scacchi
L’epopea calcistica parmense affonda le sue radici nella prima decade del Novecento, quando un gruppo di ragazzi del luogo già nel 1911 inizia ufficiosamente a giocare al pallone.
È solo un paio d’anni più tardi che questi bohémiens decidono per la fondazione d’una vera compagine di calcio, che vede la luce il 27 luglio sotto il nome di Verdi Foot Ball Club (pur se alcune fonti la identificano semplicemente come Pro Verdi).
Il nome è un omaggio al centenario verdiano che si celebrerà a Parma di lì a poche settimane, con la neonata squadra che esordisce lo stesso giorno contro la locale Fidentia FBC.
Quella che rimane agli annali come la prima maglia assoluta dei parmensi è formata da grandi scacchi pittati di gialloblu, i due colori comunali, mutuati dallo storico Ducato di Parma.
Appena nato, il Verdi FBC è però destinato da principio ad avere una vita molto breve; l’undici ha infatti la sua principale ragion d’essere nella partecipazione alla Coppa Verdi (organizzata sempre nell’ambito dell’anniversario del celebre compositore), col compito di difendere il nome della città di fronte alle più quotate compagini della regione (per la cronaca, s’aggiudicò il torneo il Modena battendo in finale il Bologna).
Appena il 28 settembre, l’undici viene di fatto sciolto.
Dal Verdi al Parma
Si deve attendere la fine dell’anno per arrivare a un primo punto di svolta nel calcio parmense: il 16 dicembre, in una riunione all’interno d’un bar di via Aurelio Saffi, i giovani sportivi della città decidono di unire le forze e gettare le basi per la creazione del Parma Football Club.
Tra i maggiori fautori della nuova realtà calcistica c’è Ugo Betti, l’intellettuale del gruppo – diverrà cogli anni un apprezzato magistrato nonché drammaturgo della scena nazionale –, già dietro al Verdi FBC, che dai tifosi verrà ricordato in primis come il padre della nuova casacca parmense.
I quadrettoni gialloblu dell’esordio lasciano il posto ad una maglia bianca marchiata da una croce nera, che si dipana lungo tutto il petto e, nel suo palo orizzontale, prosegue anche sulla schiena, fasciando per intero i footballers ducali; il tutto è completato da calzoncini e calzettoni neri.
Come accaduto per le mute del Verdi FBC, anche il Parma prende spunto dall’araldica cittadina, rifacendosi alla grande croce che fa bella mostra di sè nello stemma e nel gonfalone comunale.
La nuova uniforme – semplice e forse austera, ma sicuramente unica nel suo genere – diviene presto quella iconica del club, ed è con tale muta che i parmensi raggiungono negli anni venti, per la prima volta, la massima serie.
In questo periodo prende forma anche lo stemma del club, il quale, salvo cicliche modifiche e aggiornamenti, è rimasto pressoché inalterato per l’intero secolo.
Si tratta di uno scudo ripartito in verticale esattamente a metà, con la croce nera su campo bianco che viene affiancata da una rigatura verticale a strisce gialle e blu: le due anime parmensi, unite nel simbolo per antonomasia della squadra. Soprattutto nella prima metà del Novecento, non sarà comunque raro vedere un semplice scudo bianco riempito nella sua interezza dalla croce nera.
Fino alla metà degli anni ottanta, raramente il badge sarà cucito sulle maglie del Parma: in coincidenza con la prima era della casacca crociata (escluso l’intermezzo gialloblu di metà secolo), essa stessa sarà considerata una sorta di “grande stemma”, così le occasioni di vedere in campo il simbolo saranno limitate alle divise da trasferta e, saltuariamente, a quelle degli estremi difensori.
L’intermezzo gialloblù
Abbiamo accennato a un breve intervallo “colorato” negli anni cinquanta: all’inizio del decennio la squadra si barcamena senza gloria in Serie C, e inizia a diffondersi la leggenda secondo cui l’uniforme crociata non sia molto fortunata…
Non si sa se spinto da tali congetture oppure per semplice volontà di cambiamento, fatto sta che nel 1951 il presidente Bonifazio Meli Lupi di Soragna manda in soffitta la storica muta per rispolverare il gialloblu, colore con cui i calciatori parmensi scendono in campo per sette stagioni – alternando le strisce verticali ad una maglia blu con maniche gialle.
Nonostante i buoni risultati in campo (col Parma che ritorna stabilmente in Serie B), la proposta non incontra i favori del pubblico; le proteste sono tante e veementi, e nel ’58 portano Pino Agnetti a ripristinare la vecchia casacca crociata, tra il consenso generale della piazza.
La rinascita parmense
Con questa maglia prosegue quindi la storia del Parma, che nei decenni seguenti si afferma come un’onesta provinciale delle serie minori italiane.
L’epopea crociata sembra però destinata a interrompersi a cavallo dei sessanta e settanta: dopo varie annate segnate da problemi finanziari e avvicendamenti societari, il sodalizio che ristagna ormai nei bassifondi della Serie D è costretto, nel 1969, a dichiarare fallimento.
Quando paiono calare le tenebre, il testimone viene raccolto dall’Associazione Calcio Parmense, altro club cittadino sorto appena l’anno prima, ma che traeva origine dall’ARCI Golese del ’56, poi diventata GS Salvarani nel ’61.
La Parmense – che già militava nella stessa categoria dei cugini crociati, condividendone anche l’uso dello Stadio Tardini – nel mezzo della stagione 1969-70 assume quindi il nome di Parma AC 1968 e abbandona la sua maglia fasciata per vestire la crociata, proseguendo di fatto il cammino dei concittadini.
Come possiamo quindi vedere, il Parma che oggi conosciamo ha origine solamente alla fine dei sixties; quel “1913” aggiunto alla ragione sociale dopo il crac-Parmalat non ha formalmente alcuna valenza storica, se non l’intento di abbracciare l’intera epopea del calcio cittadino.
Di bianco vestiti
In questo contesto, il nuovo Parma continua a sfoggiare orgogliosamente la casacca crociata fino ai primi anni ottanta, quando la dirigenza ducale si trova di fronte a un “problema” di non poco conto, soprattutto sul lato economico.
All’inizio del decennio era infatti avvenuta una svolta epocale nel calcio italiano, con la FIGC che aveva aperto le porte alle sponsorizzazioni di maglia: il club emiliano stringe così un accordo col Prosciutto di Parma per mettere il marchio del locale consorzio sul petto dei calciatori parmensi…
La croce nera rappresenta però, a livello grafico, un impaccio di non poco conto per la visibilità di qualsiasi marchio pubblicitario. Pecunia non olet e, dopo qualche stagione di “convivenza forzata” tra le ragioni storiche e quelle del portafogli, il lato monetario prende inevitabilmente il sopravvento.
Con l’annata 1983-84, il direttore sportivo Riccardo Sogliano decide di rinunciare per la seconda volta alla gloriosa croce nera in virtù d’una divisa nuova di zecca, moderna e stilosa, che privilegi maggiormente il logo dello sponsor.
Un neutro bianco diventa il colore dominante, con un petto lindo dove lo sponsor può esprimersi liberamente; le maniche vedono invece il ritorno, dopo l’intermezzo di metà secolo, del gialloblu sulla prima divisa parmense, virato in tante sottili striscioline orizzontali.
A differenza di quanto avvenuto in occasione del precedente cambio di mute, stavolta non si registrano grandi critiche all’operazione, forse anche perché presto soffocate da una serie di exploit sportivi che a Parma non si vedevano da decenni.
Sarà infatti proprio questa l’uniforme che caratterizzerà il club a cavallo degli anni ottanta e novanta – segnando la prima parte del periodo più florido della sua storia, con la scalata dalla C1 alla Serie A, fino alla vittoria della prima Coppa Italia.
Parmalat Football Club
Nel frattempo, la stagione 1987-88 segna una data importante per la compagine emiliana, con la Parmalat che sigla un importante accordo di sponsorizzazione.
L’operazione va al di là del semplice aspetto pubblicitario, poiché in breve il gruppo agroalimentare entra anche nel capitale sociale del club, diventando di fatto un feudo all’interno della galassia. Inconsapevolmente, vengono gettate le basi per la plurivittoriosa squadra del decennio seguente.
Sul versante stilistico, la nuova proprietà è ben felice dell’identità cromatica adottata di recente dal Parma: l’assonanza “bianco/latte” pare perfetta per veicolare le attività commerciali del gruppo, così la maglia bianca rimane lo standard in questa felice fase storica.
A riprova di questo legame che col tempo si fa sempre più stretto e profondo, la squadra che all’inizio degli anni novanta si affaccia per la prima volta sul palcoscenico europeo viene quasi sempre identificata dai telecronisti stranieri come Parmalat, e non Parma; un “errore virtuoso” che non può non far piacere allo sponsor.
La musica è infatti cambiata. Quello che sembrava il massimo traguardo possibile per un piccolo club della provincia italiana, ovvero cucirsi addosso la coccarda tricolore, si rivela ben presto solo il punto di partenza.
Nel 1993 il Parma scrive per la prima volta il suo nome nel calcio europeo, sollevando a Wembley la Coppa delle Coppe con un completo all-white macchiato solamente da una banda gialloblu lungo la parte superiore delle maniche.
Nel biennio successivo la divisa si fa sempre più linda – con solo dei piccoli dettagli colorati riservati a colletto e maniche –, ma non smettono di arrivare i successi, con la conquista della Supercoppa Europea ’93 e della Coppa UEFA ’95 (quest’ultima vinta indossando la seconda muta gialla): in meno di un lustro, la piccola provinciale è diventata una grande del palcoscenico continentale.
In questo periodo si segnala anche una piccola innovazione riguardante lo stemma, col fornitore tecnico che – per metterlo maggiormente in risalto – decide d’inserire lo scudo all’interno di una ulteriore bordatura bianca; un dettaglio che fa la sua breve apparizione in questo decennio, e che sarà ripreso in pianta stabile dagli anni duemiladieci.
Il 1995 è anche l’ultimo anno in cui i parmensi vestono casacche griffate Umbro, un legame che durava ininterrottamente dal 1978.
Agli inglesi subentrano i tedeschi di Puma che decidono di riportare in Emilia un più marcato uso dei colori, inserendo lungo la parte esterna di maniche e pantaloncini una fantasia a frecce gialle, sopra una base sfumata di blu.
Ciò dura lo spazio d’un paio d’annate, mentre nel 1997-98 si punta su di un completo globalmente biancoblu, col giallo relegato unicamente a piccoli dettagli di contorno: è questo l’abito con cui la squadra fa il suo storico esordio in Champions League.
L’ape Maia
Si arriva così alla stagione 1998-99, che rappresenta un altro importante tassello nella movimentata storia dei colori parmensi.
Se nel decennio precedente la messa in naftalina della maglia crociata non aveva smosso di molto gli animi, nel corso dell’ultima decade ha invece avuto il tempo di maturare un nutrito sentimento di contrarietà verso le recenti proposte del club: le semplici maglie latte-style che sono state portate ai massimi livelli, infatti, non posso ritenersi brutte in senso assoluto… ma sicuramente appaiono banali e poco identitarie, se paragonate alla gloriosa croce nera del passato.
Per cercare di chiudere una questione che è sfociata perfino in un referendum, promosso dalla curva, volto a un ritorno alle origini, la famiglia Tanzi decide per un rinnovamento radicale dell’identità cromatica del club. La divisa crociata è però ancora percepita come poco adatta agli scopi pubblicitari della Parmalat: si opta così per una soluzione di compromesso, ovvero la creazione d’una maglia completamente nuova, disegnata in collaborazione col nuovo fornitore Lotto.
L’esito finale è più affine al mondo della palla ovale piuttosto che a quello del calcio (e difatti l’ispirazione viene, non troppo velatamente, dal XV cittadino del Rugby Parma): la società abbandona il bianco degli anni d’oro e abbraccia in toto la dicotomia gialloblu, con l’obiettivo di caratterizzare la squadra, d’ora in avanti, attraverso le due tinte tradizionali del territorio parmense.
La divisa di fine secolo consta quindi d’una maglia a strisce orizzontali gialloblu – che permettono il perfetto inserimento dei marchi della galassia Parmalat –, abbinata a pantaloncini gialli e calzettoni fasciati.
Una nuova maglia che è indubbiamente d’impatto grazie a una soluzione stilistica rara a vedersi nel mondo del pallone, la quale ancora oggi gode d’una discreta pattuglia di estimatori, soprattutto tra simpatizzanti e collezionisti; diverso è il parere della tifoseria parmense che, pur riconoscendo lo sforzo della dirigenza nel cercar di porre fine alla questione, non riesce ad amare appieno la nuova creazione, ironicamente ribattezzata “ape Maia”.
Il conseguimento a fine stagione del double Coppa Italia/UEFA contribuisce a smorzare parzialmente le polemiche, ma quella che resta nei cuori è la bianconera, e più di mille esempi vale quanto accade il 6 gennaio 1999.
Per il turno di campionato della Befana, alcuni ultras acquistano di tasca propria tre casacche crociate; dopo averle donate ai calciatori Balbo, Chiesa e Crespo, e aver spiegato loro il significato di tale divisa nella storia del Parma, questa viene orgogliosamente sfoggiata dal trio come sottomaglia nel corso la partita, scatenando la gioia di tutti i sostenitori presenti allo stadio. L’opinione del tifo parmense appare abbastanza eloquente.
La maglia crociata rifarà saltuariamente capolino, stavolta coi crismi dell’ufficialità, nell’ultima giornata della stagione 1999-00 – con un particolare stile sudamericano che vede lo sponsor sulla schiena, e i nomi dei calciatori sotto i numeri – e nei giorni del 90° anniversario (2003); tuttavia, all’alba del nuovo millennio è la gialloblu a farla da padrone.
Lo schema fasciato viene mantenuto senza grosse variazioni dal nuovo sponsor tecnico Champion fino al 2004 – segnalandosi unicamente per la graduale inversione di colori, dal 2002 in poi, tra il giallo e il blu, con quest’ultimo che diventa la tinta principale della divisa.
Nello stesso anno, grazie alla vittoria della Coppa Italia, il terzo completo blu navy timbra l’ultimo trofeo fin qui messo in bacheca dal Parma.
Questa seconda era gialloblu del Parma si chiude con una piccola retrospettiva sugli stemmi della maglia.
La stagione 2000-01 vede infatti un roboante cambiamento, coi Tanzi che, per completare l’opera di rinnovamento dell’identità societaria, sostituiscono lo storico stemma con un nuovo scudo a sei lati: alla canonica croce (ricolorata secondo le tinte cittadine) viene ora affiancato un toro giallo su base blu che vuole identificare Torello de Strada, podestà di Parma durante il Duecento.
Tale novità viene sonoramente bocciata da una curva che, ormai orfana della divisa crociata, vuole almeno continuare a tifare per il simbolo delle origini; per l’effimero stemma gialloblu il destino è segnato, e la società è costretta a fare dietro front appena dodici mesi dopo.
Durante il 2003 c’è invece spazio per la speciale ricorrenza dei novant’anni di vita del calcio parmense, stilizzati nella patch apposta sulla manica sinistra delle casacche da gioco.
Quando la croce è una delizia
Accennavamo al 2004, altro anno significativo nella storia del Parma, pur se legato ad uno dei suoi momenti più bui.
Lo scandalo finanziario che coinvolge la Parmalat si riversa come una mannaia anche sulla squadra di calcio, con l’epoca d’oro del club che finisce per assumere i contorni d’una grande illusione, e le casacche degli ultimi quindici anni loro malgrado additate – grossolanamente, e forse ingiustamente – come il simbolo delle malefatte extrasportive di Calisto Tanzi. Prendendo a prestito le parole di un maestro di sport come Candido Cannavò, «quel Parma era un’avvincente realtà figlia inconsapevole di un inganno colossale».
La società riesce a dare seguito alla sua storia grazie ad un “fallimento controllato” che porta l’Associazione Calcio a rinascere sotto la gloriosa denominazione di Football Club: un ritorno agli albori, una seconda genesi per una grande decaduta che dopo aver toccato le stelle torna a vestire i vecchi panni della provinciale, senza tuttavia rinnegare il passato né tarpare le ali a future ambizioni.
C’è però ancora qualcosa che manca per chiudere il cerchio… quella maglia crociata che la sorte ha voluto estranea alla vergogna della fine del Grande Parma. Una divisa operaia nella sua semplicità, e al contempo aristocratica per la sua eleganza e unicità.
Questo vogliono i tifosi: una casacca storica e originale, pura e immacolata, intrisa solamente della centenaria passione calcistica parmense. Ciò si concretizza nell’anno della rinascita, quando il Parma affronta la stagione 2004-05 ammantato nuovamente della grande croce sul petto.
La storia riprende il suo corso originario, tuttavia non siamo ancora all’ultima pagina del racconto. La maglia crociata degli anni duemila rifugge infatti dal classico nero, per proporre un insolito abbinamento tra lo sfondo bianco e una croce pittata in blu navy.
Solo con l’arrivo di Erreà nel 2006 vengono riallacciati quei fili sciolti nel 1983, riproponendo in campo la tradizionale muta bianconera del Parma, con l’unica concessione stilistica d’un suo inserimento in un completo a predominanza bianca. Dopo oltre vent’anni, il cerchio è finalmente chiuso.
Da qui in avanti, la casacca crociata torna a essere lo standard in casa del Parma. Una scelta che, paradossalmente, fa tuttora storcere il naso a una parte del pubblico più giovane: non si può ignorare il fatto che – per via dei tanti cambiamenti cromatici susseguitisi nell’ultimo quarto di secolo – un’intera generazione di appassionati ha imparato a conoscere la squadra ducale colorata di bianco o di gialloblu, quasi ignorando l’esistenza di un’epoca crociata.
La storia del calcio parmense è però lunga cento anni, non venti. Quei due decenni hanno sì segnato la parte più gloriosa del club, ma l’hanno fatto con delle maglie mai davvero sentite proprie dalla tifoseria crociata: colori che non furono il frutto d’una scelta condivisa, ma il simbolo di un’imposizione maturata unicamente per ragioni commerciali.
Per vent’anni è stato compiuto un errore, a cui – forse, tardivamente – si è comunque arrivati a porre rimedio. L’unico modo per non continuare a sbagliare è probabilmente quello di non cambiare mai più, lasciando alla crociata il ruolo di identificare il Parma nei decenni futuri.
Ciò non vuol dire rinnegare gli anni in bianco e, soprattutto, in gialloblu – quest’ultimi, colori che fanno parte della tradizione della città, e che ancora oggi dipingono gli spalti del Tardini. Semplicemente, significa riappropriarsi della propria storia, affinché la crociata non sia più vista come l’eccezione ma come “la” maglia del Parma, dal 1913 a oggi.
Un concetto, questo, spesso rimarcato dall’attuale dirigenza ducale, e riassunto nelle parole di Pietro Leonardi: «dalla storia non si può prescindere. Come società diamo molta credibilità alla nostra storia, che è la Maglia Crociata. Poi, c’è stata un’epoca gialloblu, che non vogliamo nascondere e a cui diamo sempre spazio, in ogni stagione, ma la storia centenaria del Parma Calcio è Crociata».
Si prosegue così su questa ritrovata strada, e le divise parmensi del nuovo secolo si segnalano annualmente solo per dei piccoli e ciclici mutamenti.
Su tutti, spicca il ritorno in pianta stabile (dopo la sperimentazione di metà anni novanta) della bordatura bianca attorno allo stemma societario, ma si segnalano anche il particolare effetto ricamato affibbiato alla croce del 2011-12, nonché l’iniziativa che nell’annata seguente permette agli abbonati ducali di vedere il loro nome inserito come trama nel tessuto della maglia.
E arriviamo finalmente al termine del nostro cammino, alla stagione del centenario, con la classica maglia crociata affiancata alla divisa scaccata degli albori. L’apposizione dello speciale logo celebrativo sul petto, al posto dello stemma, è l’unica deroga all’alone di classicità che permea le ultime casacche ducali.
Il tutto viene esaltato all’ennesima potenza il pomeriggio del 15 dicembre 2013 quando, a un solo giorno dal suo compleanno, il Parma scende in campo con la fedele replica della maglia del 1913: una casacca d’altri tempi, tanto semplice e artigianale quanto splendida ed evocativa.
La ciliegina sulla torta per chiudere nel migliore dei modi un secolo di vittorie e sconfitte, gioie e delusioni, cadute e risalite. Sempre col Parma nel cuore.