Fatta la legge, trovato l’inganno. Un vecchio adagio che svela i nostri più bassi istinti, ma che allo stesso tempo nobilità una certa furbizia e intraprendenza, facendoci levare il cappello anche davanti a quella che appare, a conti fatti, come la più impertinente delle prese in giro. Il calcio non è esente da ciò, mai lo è stato, e anzi proprio da esso ci viene l’ultima trovata del genere, che immaginiamo avrà portato a qualche sonora lavata di capo negli uffici UEFA.
LASK Domestic Kit 2019-2020
Per raccontare ciò dobbiamo spostarci in Austria, dove il Linzer Athletik-Sport-Klub, brevemente LASK, è reduce dalla sua migliore stagione negli ultimi cinquant’anni: col secondo posto raggiunto nel campionato 2018-2019, infatti, la squadra ha ottenuto uno storico accesso al tabellone di Champions League; il primo dai tempi del loro fin qui unico precedente, datato addirittura 1965-1966, quando ancora si parlava di Coppa dei Campioni…
Tanto è cambiato da allora, nel mondo del calcio, a cominciare dall’immagine della disciplina: il LASK di mezzo secolo fa, indossava una semplice casacca bianconera… oggi tutto è mutato, a voi il giudizio se in meglio o in peggio. Fatto sta che la Bundesliga austriaca è oggi tra i campionati che maggiormente aprono le porte agli sponsor, che più soffrono la loro invadenza, con maglie ormai indistinguibili da quelle del ciclismo o della pallavolo — basti pensare che, da un paio d’anni, a Salisburgo si sono perfino inventati uno sponsor ad hoc per il rookie of the match!
Una realtà dove il LASK, va detto, sembra trovarsi assolutamente a proprio agio: dalla stagione 2016-2017, addirittura, il club è arrivato a sacrificare i colori sociali dalle maniche della divisa, onde riservare tali spazi alla réclame di turno. Una politica pubblicitaria che farà storcere il naso ai più, ma che ha evidentemente portato i suoi frutti nelle casse societarie, se dall’annata seguente i Bianconeri hanno convenuto sul rinunciare a un canonico fornitore tecnico in favore di capi in-house griffati dal marchio Forza ASK.
Una politica che, tuttavia, fuori dai confini nazionali va inevitabilmente a scontrarsi coi regolamenti UEFA, che in fatto di sponsor impongono, in Champions ed Europa League, il solo logo del fornitore tecnico più un solo marchio commerciale sul petto. Rigidi paletti che sembrava impossibile abbattere. Appunto, sembrava…
LASK European Kit 2019-2020
Il LASK ha colto l’occasione del decisivo play-off agostano contro i belgi del Club Bruges, per scendere in campo per la prima volta, davanti al pubblico amico del Waldstadion di Pasching, con la speciale divisa con cui affronterà la campagna europea ventura. Un’uniforme che rispetta in pieno le disposizioni di Nyon… nonostante la presenza di due sponsor di maglia!
A uno sguardo più attento, infatti, oltre al main sponsor Zipfer, la maglia appare firmata a livello tecnico da BWT. Nulla di strano, all’apparenza, se non fosse che quest’azienda ha il suo core business nel… trattamento delle acque!?
Uno sponsor vero e proprio, che ad esempio gli appassionati di motori già conoscono da anni, grazie alla sua caratteristica livrea che veste tante scuderie in giro per il mondo; e che in questa stagione, già si è presa (come detto) le braccia del LASK in terra austriaca. Insomma, com’è finita un’azienda del genere a produrre divise da calcio?
Come si dice, la storia si ripete. E come s’è già scritto, fatta la legge, trovato l’inganno. E a sotterfugi del genere, la storia del calcio non è certo estranea. Fin dagli anni Settanta, fin dalla breccia aperta dall’Eintracht Braunschweig, gli sponsor hanno dovuto districarsi tra commi e codicilli onde farsi spavaldamente largo: alcune volte interpretando, altre cogliendo al balzo qualche vuoto normativo, altre ancora ponendosi sfacciatamente in situazioni borderline — come dimenticare quel pastificio che, dall’oggi al domani, si ritrovò a vestire il Perugia di Paolo Rossi…
Proprio quest’ultimo è l’escamotage che, dopo quarant’anni, ha rispolverato il LASK per bypassare le maglie dell’UEFA. Accanto ai succitati domestic kit marchiati Forza ASK, la stagione 2019-2020 ha visto i Bianconeri presentare per la prima volta degli specifici european kit, questi brandizzati BWT che, come un qualsiasi altro fornitore tecnico, compare col proprio logo su busto, pantaloncini e calzettoni.
Divise che presentano uno stile nettamente più sobrio rispetto a quelle di ambito nazionale, grazie a un template rigato solo differenziato tramite colori — bianco per la home, nero per la away e, non troppo casualmente diremmo, il rosa aziendale BWT per la third. Divise pressoché monocolore sopra le quali, paradossalmente, comunque balzano agli occhi quelle tre piccole, insolite lettere… da questo punto di vista, non c’è che dire, missione compiuta.
Quale futuro?
Sul campo, queste uniformi non hanno avuto fortuna contro quelle più quotate del Club Bruges, venendo relegate all’Europa di rango minore. Ma il risultato del campo, stavolta, forse sarebbe finito in secondo piano qualsiasi fosse stato l’esito finale. Queste divise, infatti, probabilmente finiranno fin d’ora nella storia del calcio e ancora più della mercatologia sportiva, rappresentando un serio e molto pericoloso precedente, dal punto di vista dell’UEFA. L’ennesimo precedente, potremmo dire.
In una disciplina che storicamente si è sempre retta sulla separazione, netta ma pur sempre de facto, tra lo sponsor e il produttore dell’abbigliamento tecnico, quello del LASK non è certo il primo atto eversivo del genere: tra i tanti, già nei primi anni Duemila il calcio italiano vide qualche sporadico tentativo del genere (che magari approfondiremo in futuro…), volto a massimizzare i profitti di club pronti a diventare sempre più simili ad aziende.
Tuttavia rimasero questi degli unicum di breve durata e di cui, in un tempo pur relativamente breve, oggi si è perfino persa memoria tra i più; forse perché escamotage figli di un’epoca ancora embrionale circa il marketing applicato al calcio, un’epoca ancora basata sulla fanciullesca equazione di 1 maglia = 1 sponsor. Un’epoca in cui football e business ancora solo flirtavano, senza lasciarsi andare alla più sordida tentazione.
Giunti al 2019, invece, le cose sono repentinamente cambiate ormai. In un panorama sportivo che ha visto la maglia e i suoi colori, nel frattempo, derubricati a un mero spazio bianco alla mercé del migliore offerente, il paventato sdoganamento dell’equiparazione sponsor/produttore potrebbe risultare un punto di non ritorno, per il calcio come noi oggi lo conosciamo e, soprattutto, vediamo.
Azzardiamo le note big three indirizzarsi sempre più — come peraltro già sta avvenendo — verso i pochi, ricchi top club, riversando su questi i loro budget milionari e lasciando così fuori dai loro portfolio tutte quelle formazioni di medio e basso livello, anche solide e ambiziose, ma affossate dalla mancanza di blasone e tifo su scala internazionale; provinciali in cui peraltro, spesso il merchandising legato alla maglia ricopre una voce marginale nei ricavi stagionali… formazioni che quindi non avrebbero alcuna remora nell’osare qualcosa di diverso, nel legarsi a marchi non interessati a vendere casacche, bensì a farsi della banale, venale pubblicità.
Un futuro che vedrebbe il calcio come un qualcosa di sempre più globale, sempre più lontano dall’aspetto prettamente sportivo; e pertanto sempre più vicino ad abbracciare una sfumata universalità anche, o forse soprattutto, in fatto di sponsorizzazioni, adesso non più rigidamente divise tra tecniche ed extrasettore. In parole povere, la fine dello sponsor come l’abbiamo conosciuto finora, perlomeno su di un rettangolo verde. È questo, il futuro che ci attende?
Photocredits | @LASKOfficial