La geografia del calcio tedesco, in passato a dir poco florida di spunti e sorprese, negli ultimi tempi non sembra più offrire novità di sorta, avvitata com’è in una spirale a tinte bavaresi la cui fine pare lontana dall’essere pronosticata. Tuttavia, la Bundesliga che sta andando a concludersi ci ha comunque riservato un inaspettato coup de théâtre grazie a un nome dai gloriosi albori, ma ormai quasi dimenticato dinanzi a un’esistenza vissuta troppo spesso sul filo del rasoio.
Berlino è una città strana, calcisticamente parlando. Una delle grandi capitali del continente, forse la sola storicamente incapace di dar vita a un calcio di alto livello. Non più divisa da un muro fatto di cemento e ideologie, ma ancor oggi spaccata tra l’affascinante unicità dell’Union da una parte, e la più compassata epopea dell’Hertha dall’altra. Per entrambe, tuttavia, la gioia ha troppo spesso lasciato il posto allo sconforto, alla delusione, alla rassegnazione.
Soprattutto per i biancoblù, i ricordi dei successi d’inizio anni Trenta, quando la “vecchia signora” di Germania poté brevemente farsi grande, si perdono ormai come lacrime nella pioggia a fronte di anni, lustri, decenni fatti più di cadute che risalite, più di sconfitte che momenti di gloria. Ma inversamente, e inconsapevolmente, ogni volta che si materializza un inaspettato colpo di coda, una piccola rivalsa verso il destino, questa finisce per dare una gioia diversa, unica, forse più vera di altre, a chi a quei colori, nonostante tutto, ha scelto di dedicare un’intera vita.
È questo quel che sta accadendo in Bundesliga negli ultimi mesi, in cui proprio quell’Hertha da anni preso a schiaffi dagli avversari, oggi sta inaspettatamente rialzando la testa portando tanti berlinesi a sognare di vivere, da qui a breve, tanti mercoledì sera in giro per l’Europa, per riascoltare dopo quindici anni quella musichetta che fa fremere ogni tifoso del continente.
Ancora non sappiamo se gli uomini di Pál Dárdai riusciranno a prender parte nella prossima stagione alla competizione più ambita, quella che mette in palio la coppa dalle grandi orecchie. Sappiamo però che l’Alte Dame versione 2015-2016 non pare nient’affatto un fuoco di paglia, dopo essere tornata nel novero delle grandi anche in Coppa di Germania raggiungendo una storica semifinale.
“Storica”, sì, perché erano ben 1533 giorni che i biancoblù non giocavano una gara di tale importanza. Un’astinenza evidentemente fin troppo indigesta per una città che nel calcio ambirebbe a ben altri lidi; un’occasione da celebrare con una maglia one shot atta a celebrare, ricordare ed esaltare l’inaspettata stagione di grazia dell’Hertha. Una maglia che Nike ha a suo modo reso già storica, anche solo per il template scelto.
Chi segue il fussball sa bene, infatti, quanto la squadra della capitale sia un po’ una mosca bianca in fatto di divise, rispetto alle sue conterranee; mentre tanti club tedeschi amano cambiare di anno in anno lo stile delle proprie uniformi — sentendosi legati unicamente al vincolo dei colori sociali —, i biancoblù di Berlino rimangono storicamente fedeli alla linea… verticale, quella del suo iconico template palato capace di resistere al passare delle mode e della storia. Un template che talvolta ha sì dovuto cedere fugacemente il posto, salvo poi tornare sempre e prepotentemente alla ribalta.
Con queste premesse, dev’essere stato un mezzo shock quello in cui sono occorsi lo scorso 20 aprile i sostenitori dei berlinesi, quando hanno visto materializzarsi sul campo dell’Olympiastadion undici magliette completamente blu. Questa è stata infatti la scelta del club per giocarsi le proprie chance contro il Borussia Dortmund, un semplice template senza fronzoli dove il bianco spunta solo qua e la, su bordini e su di un’elegante quanto discreto colletto a polo, con lembi ornati a loro volta da una sottile strisciolina a contrasto.
Sul petto sventola — in tutti i sensi — l’iconico stemma dell’Hertha, per una casacca tanto semplice quanto di rottura, dinanzi alla tradizione berlinese. L’unico vezzo di stile risiede infatti sul fianco sinistro, seminascosto, dove trova posto la sagoma di quell’orso simbolo cittadino, e che già nelle stagioni passate venne più volte ospitato sulla seconda pelle dei calciatori della capitale. Rispetto alla canonica divisa stagionale — oltre all’assenza di dettagli rossi — cambiano anche i pantaloncini che virano dal blu al bianco, mentre i calzettoni diventano completamente monocolore; un minimalismo che rispecchia l’approccio generale di questa speciale uniforme.
Una pokaltrikot che tuttavia non è bastata ai padroni di casa per continuare il loro sogno, inchinatisi dinanzi al più quotato Borussen indossandone una versione che, rispetto a quella messa in vendita online, si differenziava unicamente per un’iscrizione celebrativa apposta sotto allo swoosh. Una maglia che, nonostante l’amaro epilogo, è stata testimone di uno dei momenti più alti nella storia recente dell’Alte Dame, e che siamo sicuri resterà comunque nei ricordi dei suoi appassionati, forse speranzosi che questa divisa possa rappresentare un punto di partenza, una rinascita per una grande decaduta del passato, fin troppo vogliosa di tornare in alto.