Decisamente, questa non è stata la stagione delle milanesi… tra un’Inter preda di continui alti e bassi, e un Milan grande con le piccole ma altrettanto piccino nei grandi appuntamenti, il campionato che sta volgendo al termine ha visto le squadre meneghine insolitamente lontane dal calcio di vertice.
Ciò stupisce poiché, storicamente, Milano è invece quasi sempre stata il fulcro del football nazionale; d’altro canto, stiamo parlando della città – aspettando Torino – più scudettata d’Italia, nonché dell’unica in Europa – Madrid, sponda Atlético, permettendo – capace di vantare due club fregiatisi della coppa più ambita, quella dalle “grandi orecchie”.
In questo difficile contesto, nel corso degli ultimi mesi sono rimbalzate le più diverse proposte su come uscire dall’impasse, in una scala che va dal realistico alla pura fantascienza.
A quest’ultimo caso è afferente un grande “classico” del panorama milanese, che saltuariamente fa capolino nelle chiacchiere da bar, davanti alle telecamere delle TV private e all’interno dei forum che animano la rete; un qualcosa, soprattutto… fortemente osteggiato e ancor più temuto: la fusione!
Un matrimonio di convenienza
Per quanto audace, non si tratta di una trovata senza basi storiche: già al termine degli anni venti si tentò di imbastire all’ombra della Madonnina quanto già accaduto a Firenze, Napoli e, in parte, Roma, quando il regime fascista al potere attuò una serie di accorpamenti forzati volti a ridurre drasticamente il numero di formazioni calcistiche presenti in ogni città.
Ai nastri di partenza della stagione 1928-29, erano ben tre le società meneghine in massima serie, sicché l’Inter e la neopromossa Milanese, in virtù del loro peggior coefficiente rispetto al Milan, dovettero forzatamente unirsi per dare vita all’effimera Ambrosiana.
Una società mai sentita propria dai vecchi tifosi, e che infatti nello spazio di un anno si trasformerà nell’Ambrosiana-Inter, di fatto la vecchia Internazionale con indosso la storica maglietta nerazzurra.
Tornando invece ai giorni nostri, e ragionando in termini semiseri, stiamo ipoteticamente fantasticando su di uno squadrone da 36 scudetti e 10 Champions League, per un Milano United sospinto da oltre 20 milioni di tifosi… e qui mi fermo poiché, mentre mi appresto a scrivere queste righe, già posso sentire in lontananza gli insulti e le grida di terrore, miste a conati di vomito, provenienti dalle due anime della città!
Per tutti, basta ricordare quanto accaduto nella stagione 2012-13, quando la Nord di San Siro rigettò compatta la nuova away del Biscione, rea di far uso a piene mani del colore rosso degli storici rivali.
Sorprendentemente, è invece sempre passato inosservato sul versante milanista lo sfoggio di maglie da trasferta azzurre, tinta che ebbe la sua primogenitura con la Coppa Latina del 1951, e che ha visto la sua ultima apparizione coi Diavoli nel 1995-96.
Città contro
In realtà, ciò che oggi stupisce o fa rabbrividire, ieri era la normalità: con buona pace dei tifosi duri e puri, dagli albori del calcio meneghino sino ai primi anni ottanta, le diverse sponde hanno più volte unito forze e giocatori sotto gli stessi colori.
Il cosiddetto MilanInter United non è infatti il frutto di una mente sadica e perversa, bensì un esperimento calcistico che ha attraversato il Novecento, consegnando alla memoria sfide leggendarie, formazioni da sogno e, soprattutto, un paio di maglie inevitabilmente uniche.
Era il 2 giugno del 1907 – l’Inter, ancora, neanche esisteva – quando la Milano calcistica scendeva compatta in campo per affrontare gli svizzeri del Grasshoppers, riunita per la prima volta indossando la stessa casacca.
Dagli anni venti, all’ombra della Madonnina divenne poi una sorta di tradizione quella di mettere in piedi rappresentative miste, contrapposte ciclicamente alle formazioni più in vista dell’epoca. Questo ibrido in salsa meneghina, al tempo stesso tanto straniante quanto affascinante, ebbe il suo periodo di gloria nel secondo dopoguerra, quando peraltro tali unioni calcistiche godevano di un discreto seguito in tutto il continente.
Gli anni cinquanta videro infatti la nascita della Coppa delle Fiere, l’antesignana dell’odierna Europa League, che nelle sue prime edizioni era orientata soprattutto alle città che non ai club veri e propri.
In particolar modo all’inizio della sua storia, la partecipazione alla coppa favoriva rappresentative cittadine create ad hoc per l’occasione, tanto che la prima edizione vide trionfare nel 1958 il sodalizio del Barcelona XI, vittorioso sul similare London XI.
Pur se quel successo è oggi riconosciuto con tutti i crismi ai blaugrana del Barcellona (poiché da loro proveniva la gran parte di quei giocatori), la formazione spagnola giocò la coppa indossando una speciale divisa con maglia blu e pantaloni bianchi, e sul petto lo stemma comunale del capoluogo catalano.
Una maglia da inventare
L’idea di una squadra unica a Milano è sopravvissuta fino ai giorni nostri, rimanendo radicata come malvagio “spettro” nel tessuto del tifo cittadino.
A riprova di ciò, non serve neanche andare troppo indietro nel tempo: nel 2007 perfino la Nike mise in piedi una campagna pubblicitaria, basata sul fantomatico Madunina United, per celebrare i freschi successi di due suoi alfieri, Gattuso e Materazzi, meneghini d’adozione.
Per quell’occasione, l’azienda dello swoosh ideò una casacca non troppo originale, che però prendeva a piene mani dalla città ricorrendo ai due colori comunali, il bianco e il rosso.
Lo stemma milanese è infatti composto da uno scudo bianco attraversato da una croce rossa. Una soluzione che già nel ’28 venne scelta dalla già citata Ambrosiana per la sua nuova maglia, e a sua volta ripresa nel 2008 dall’Inter per marchiare la casacca del centenario nerazzurro.
Lo scudo crociato è invece stato lo storico stemma del Milan ai suoi albori, tuttora presente nel moderno logo societario, e rispolverato nella sua antica forma nel 1999 per la muta celebrativa del primo secolo rossonero.
In definitiva, un segno grafico che accomuna le due maggiori realtà calcistiche della città, e sotto cui entrambe possono sentirsi pienamente rappresentate.
Fu proprio l’uniforme crociata quella scelta dalla selezione mista che, il 13 ottobre del 1965, affrontò il Chelsea; una divisa intrinsecamente milanese, semplice ma non per questo d’impatto, che riesce a emergere per stile ed efficacia – nonostante la maglia crociata non sia certo una novità nel panorama calcistico.
Una casacca indossata da gente come Angelillo, Corso, Guarneri, Jair, Peirò, Picchi, Schnellinger, Suarez e Trapattoni, allenati dal tandem Herrera-Liedholm… assenti, invece, Mazzola e Rivera: per loro, evidentemente, era nel destino il non dover mai giocare assieme, a San Siro come all’Azteca.
Pur se mantiene di base una simile semplicità, più studiata appare l’uniforme con cui il MilanInter affrontò l’Austria Vienna il 27 novembre del 1949; sembrano passati millenni da quella partita, celebrativa del 50° compleanno dei Diavoli, che invitarono i giocatori del Biscione a unirsi a loro per festeggiare assieme l’anniversario.
Stavolta ci troviamo di fronte a un’invenzione che sembra trarre ispirazione direttamente dalla sponda blucerchiata di Genova, una candida divisa bianca dove la monotonia scompare grazie a una spruzzata di colore, racchiusa nella fascia rossonerazzurra che attraversa il busto di Nordahl e Nyers.
Proprio quella che sembrava la cosa più difficile da realizzare, ovvero unire i colori sociali di due fazioni tanto diverse tra loro, viene invece risolta smontando a priori le anime rossonere e nerazzurre per fonderle in qualcosa di nuovo.
Una maglia biancocerchiata che racchiude in se Milano, l’Inter, il Milan e l’orgoglio di essere, anche solo per una partita, “noi”. Nessun’altra casacca è rimasta così emblematica; l’unica che, forse, ha davvero rappresentato i Rossonerazzurri.
Meno riuscite – e soprattutto, meno affascinanti – appaiono invece le mute scelte per il canto del cigno della Milano unificata, vestite nei primi anni ottanta. Dopo il terremoto dell’Irpinia, venne rispolverato il Milano United per raccogliere fondi a scopo benefico, organizzando un’amichevole col Bayern Monaco di Rummenigge.
Tuttavia, sul versante stilistico, Baresi e Oriali furono decisamente sfortunati, poiché toccò loro in sorte una divisa abbastanza piatta cromaticamente, che non mostrava guizzi di sorta e che – forse per evitare polemiche, in un periodo in cui questo genere d’iniziative iniziava a fare il suo tempo – si limitava a riproporre le tinte della nazionale italiana.
Puma (all’epoca fornitore del club interista) approntò delle semplici magliette azzurre con bordature bianche, con lo stemma comunale come unico vezzo, circoscritto all’interno di un bollo bianco: decisamente, niente di memorabile.
L’ultima apparizione della rappresentativa meneghina si ebbe nel 1982, quando Altobelli, Bagni, Novellino e Tassotti fecero da sparring partner al Perù di Uribe e alla Polonia di Boniek, impegnate nella preparazione ai mondiali spagnoli; incontri di cui rimane traccia solo in qualche breve trafiletto di cronaca sportiva, visto il loro interesse ormai rasente lo zero.
Tifosi contro
Furono gli ultimi di una serie di 23 (ventitre!) incontri amichevoli, in cui le varie anime del tifo cittadino misero da parte il campanilismo per riunirsi unicamente sotto il nome di Milano.
Da allora, molto è cambiato: la città, il calcio e, soprattutto, gli stessi tifosi. Dopo un secolo di storia, nerazzurri e rossoneri hanno ormai maturato dei caratteri troppo profondi e identitari per pensare di poterli cancellare.
Più del business e del marketing, di valutazioni tra costi e ricavi, o tra rischi e opportunità, quella palla che rotola su un manto verde rimarrà sempre, fondamentalmente, una questione di passione. L’unica cosa che non si potrà mai comprare.
Inter e Milan, probabilmente, insieme non sarebbero più la stessa cosa. Per vivere, per lottare, per sognare, entrambe hanno bisogno della loro nemesi, di cui si nutrono e da cui traggono forza. Cancellare, anche solo ipoteticamente, tutto ciò, sarebbe semplicemente inaccettabile: per i tifosi, per la storia, per la città.
È questa rivalità che ha fatto diventare grandi rossoneri e nerazzurri, che ha fatto diventare grande la Milano del calcio. Poco importa se ciò ha fatto litigare amici d’infanzia, padri e figli, coppie d’innamorati… è il calcio, bellezza. Inter-Milan è tutto questo, una lotta fratricida che non guarda in faccia a nessuno.
E se queste cose accadono tra fratelli, figurarsi tra cugini…