Qualche giorno fa è apparso online sul sito di Repubblica un articolo scritto da Maurizio Crosetti, dal titolo “Follie da business maglie senza identità“.
Lo riportiamo integralmente:
Vi piace Del Piero vestito come una Punto metallizzata? Che ve ne pare di Hernan Crespo che una volta indossava la divisa biancoceleste dell’Argentina e adesso – con la terza maglia del Genoa – non sa più se l’ha comprato il Pescara oppure se a Enrico Preziosi hanno rifilato uno stock di pigiami in saldo? E quelli del Bologna bardati di verde come zucchine (anche se fu la seconda divisa ufficiale dal 1925 ai primi anni ’60)?. E quelli del Bari che hanno bizzarri inserti curvilinei rossi a sbaffo, un po’ di qua e un po’ di là?
Di tutti i colori, veramente. La smania del merchandising – produrre sempre nuove divise per venderle ai tifosi che non possono restare indietro con le collezioni autunno/inverno – ha ormai rovesciato anche le regole più elementari. Tipo: Juventus contro Udinese, entrambe con le maglie a righe verticali bianconere, dunque una delle due (un tempo, gli ospiti) la deve cambiare. E che ti combinano, i doppioni cromatici? Cambiano tutte e due le divise, col bel risultato che la Juve indossa quella da trasferta, la non memorabile maglia color acciaio con banda trasversale bianconera, mentre l’Udinese sceglie il completo giallo pompelmo, una tonalità già raccapricciante di suo, non fosse che nell’occasione fa pure a pugni col pallone, giallo anch’esso. Nell’intervallo, arbitro e guardalinee parlottano tra loro e convengono che sì, quella palla si vede male perché si confonde con i giocatori dell’Udinese. Da quale pulpito, però: la terna arbitrale sfoggia infatti la raccapricciante divisa fuscia elettrico, lucida e orrenda come un incubo postmoderno.
Arbitri colorati come pennarelli, centravanti estratti dalla cesta del verduriere, terzini vittime del delirio creativo di qualche stilista rubato all’agricoltura. Lo scopo è far soldi, sai che novità, però è un po’ difficile che il pubblico si indentifichi con i colori sociali. I quali, un tempo, equivalevano alla bandiera ed erano intoccabili, al massimo si faceva qualche concessione alle seconde maglie (quasi sempre sobrie, e tendenti al bianco o al blu) ma solo per ragioni televisive, soprattutto quando le riprese in bianco e nero obbligavano a cercare contrasti più netti per le vecchie tivù.
E’ una moda, e purtroppo non passa. All’estero vediamo o abbiamo visto il Manchester United con una V nera sul petto come un Brescia infuocato, oppure un Barcellona marroncino chiaro, giusto quella sfumatura da influenza intestinale. Non resta che unirci alla speranza di Gasperini, allenatore del Genoa in pigiama: “Beh, speriamo che queste maglie bianche e celesti le vendano tutte in fretta”. Anche se il top resta la divisa dell’Italia ai mondiali 2006, quella con gli aloni sotto le ascelle, unica maglietta “pre sudata” nella storia del calcio. Portò bene, però.
L’articolo punta il dito verso le terze maglie, prodotte in nome del marketing. Siamo d’accordo con Crosetti quando parla di Juventus-Udinese, due squadre bianconere scese in campo entrambe con una divisa senza i colori sociali. Non siamo d’accordo invece sulle critiche verso le maglie di Genoa o Bologna che hanno rievocato alcune divise storiche.
Il Genoa ha infatti ripreso la maglia del 1899/1900, mentre il Bologna quella del 1925 usata nella storica finale scudetto proprio contro i genoani. In ogni caso è proprio la terza divisa quella su cui poter sperimentare qualche modello particolare, spesso assistiamo invece ad autentici orrori sulle prime maglie che dovrebbero essere tutelate maggiormente in nome della tradizione.
E tu cosa ne pensi? Sei d’accordo con l’autore dell’articolo?