I club calcistici hanno colori, stemmi e mascotte differenti, che li distinguono gli uni dagli altri.
Si tratta di una simbologia che rappresenta la storia e l’identità di ogni squadra, sono elementi che troviamo impressi sulle divise da gioco, vengono raffigurati nelle bandiere che colorano gli stadi e assumono un’importanza tale da non ritenerla secondaria perché sono adorati dai tifosi e spesso baciati da coloro che scendono in campo da veri protagonisti.
Siamo abituati anche a soprannominare le varie squadre in base alla loro mascotte storica; in Italia i maggiori club spesso sono identificati con una simbologia alternativa rispetto a quella degli stemmi che li rappresentano: l’Inter è il biscione, la Juventus è la zebra, il Milan è il diavolo, mentre il Napoli è l’asino… anzi ‘o ciuccio, come si pronuncia alle pendici del Vesuvio.
Voglio soffermarmi sulla storia che ha portato la Napoli calcistica a riconoscersi in un somaro, in maniera particolare sulle origini di una mascotte, nata non per scelta ma per puro destino. Molti tifosi ancora si chiedono quale sia il profondo ed autentico motivo per cui il simbolo del Napoli sia l’asino e, come mai una squadra che da tempo è riconosciuta come una delle migliori nella massima serie del campionato di calcio italiano e che si è distinta in Europa, grazie al gioco spettacolare offerto negli anni, viene rappresentata da un animale così poco nobile e fiero.
Tutto ha inizio nel 1926 quando l’Internaples Football Club di Giorgio Ascarelli, squadra che rappresentava la città, si vide costretta a cambiare nome abbandonando l’inglesismo sgradito al regime e scegliendone uno più consono alla realtà sportiva della nazione. Nacque quindi l’Associazione Calcio Napoli (dal 1964 SSC Napoli) con il chiaro intento di portare in alto il nome del sud contro gli squadroni del nord Italia, già da tempo molto più avanti nella tecnica e soprattutto in possesso di calciatori di un certo calibro. Fin qui l’asino non fa ancora la sua comparsa.
Ricordiamo che il primo stemma utilizzato dal club era un ovale dai contorni dorati ed un fondo blu: racchiudeva al suo interno un cavallo bianco rampante posizionato su un pallone e circondato dall’acronimo ACN. Simbolo della città di Napoli e soprannominato durante il Regno delle Due Sicilie “Il Corsiero del Sole“, trasudava fierezza e nobiltà, per testimoniare l’indomabilità e l’impeto del popolo napoletano.
La prima stagione calcistica del Napoli fu una catastrofe senza riuscire a gonfiare la rete. Intanto, il cavallo rampante perde il suo spessore simbolico e l’asino comincia a fare la sua comparsa. Si racconta che all’interno dello storico Bar Pippone, ubicato in via Santa Brigida e luogo di ritrovo dei sostenitori azzurri, un tifoso sfegatato partenopeo sconsolatissimo ed esasperato da questi risultati e amareggiato per l’esito deludente del campionato, esclamò ai presenti con disarmante naturalezza la frase:
La frase esprimeva con chiarezza che quella squadra era più sfortunata dell’asino di un tale Domenico Ascione soprannominato ‘o Fechella, un venditore di fichi molto conosciuto in città che si serviva di un asinello malconcio con la coda in pessime condizioni e tanto carico di acciacchi da essere pieno di piaghe. Il povero animale provava a rendersi utile trasportando qualcosa ma dopo pochi passi stramazzava al suolo esausto. Eccolo finalmente l’asino da cui è nato il simbolo.
In quell’annata calcisticamente drammatica, il Napoli somigliava all’asino di Fechella, distrutto ad ogni occasione. Il caso volle che, mentre il tifoso esclamava a gran voce la sua battuta di spirito per strappare una risata a tutti i presenti, fosse presente un noto giornalista di nome Felice Scandone, fondatore del quotidiano Il Mezzogiorno Sportivo, il quale riportò la battuta satirica sulle pagine del suo giornale e iniziò a diffondere anche vignette dov’era raffigurato proprio un asinello tutto incerottato. Fu così che la dichiarazione goliardica ebbe un grandissimo eco in brevissimo tempo, contribuendo a rendere il ciuccio la mascotte dei calciatori partenopei.
L’abbandono del cavallo, in favore dell’asino, avvenne il 23 febbraio 1930 in occasione di Napoli-Juventus. I partenopei stavano perdendo per 2 a 0, ma riuscirono in una clamorosa rimonta che portò al definitivo pareggio per 2 a 2. Al termine della partita fu portato sul terreno di gioco un asinello infiocchettato con un nastro azzurro accompagnato da un cartello con la frase scritta: “Ciuccio, fa’ tu !“. Da quel momento, per tutti, l’immagine della squadra fu associata proprio a questo animale interpretato come portafortuna del club. D’altronde la scaramanzia a Napoli ha avuto sempre un ruolo importante.
La maglia azzurra ha da sempre un forte legame storico e affettivo con la città, ma è anche vero che questo simbolo non è tanto gradito alla società. Infatti non viene rappresentato quasi mai sulle divise da gioco e all’interno dello stemma del club, nonostante nel corso degli anni hanno subito diverse modifiche nella loro evoluzione stilistica. È scomparso qualsiasi riferimento alla storica mascotte e sembra che si vive in un clima in cui del ciuccio non si debba neanche parlare, perché è come se rappresentasse l’immagine di un club non vincente.
L’unica stagione calcistica in cui il ciuccio fa la sua prima ed unica apparizione è quella del 1982–1983. Il club introduce un nuovo stemma sulle divise da gioco realizzate dallo sponsor tecnico italiano Ennerre.
Situato sul lato sinistro della maglia, in corrispondenza del petto proprio all’altezza del cuore, costituito da una lettera N (diventa il corpo dell’animale) arrotondata e inglobante una testa e le orecchie di un asino. La prima divisa da gioco era composta da una maglia azzurra con pantaloncini blu e calzettoni azzurri; mentre, quella da trasferta presentava sottili righe verticali alternate in giallo e in rosso, in riferimento ai colori dello stemma attuale della città di Napoli.
Nel girone di ritorno del campionato, per questioni scaramantiche, il club ritornò ad utilizzare la classica divisa da gioco: maglia azzurra, pantaloncini bianchi e calzettoni azzurri.
Nasce così dalla prorompente allegria di un popolo in grado di sdrammatizzare i fallimenti e le ferite, uno dei simboli più cari ai napoletani e che riesce a rialzarsi con orgoglio, dimostrando passione, forza ed amore, grazie al gioco straordinario che spesso riesce a donare ai suoi tifosi. Come recita un vecchio proverbio: “chi nasce asino non può morire cavallo“. È possibile, invece, il contrario. Almeno stando alla storia della mascotte del Napoli.
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