Gli astronomici ricavi generati dalle grandi leghe sportive statunitensi permettono alle loro squadre un enorme lusso: indossare delle maglie che non siano costellate di sponsor, come invece accade nel resto del mondo (ma anche nella Major League Soccer e nelle leghe femminili americane, molto meno ricche rispetto alle ‘Big Four’). Sulle divise da football della NFL compaiono solo i numeri dei giocatori, mentre su quelle da hockey della NHL, generalmente, si vedono i loghi delle franchigie.
Sulle maglie della NBA, come su quelle da baseball della MLB, è invece tradizione che venga esposto il nome della squadra, oppure quello della città. Tra gli stilisti del basket a stelle e strisce esiste però una ‘frangia minimalista’ convinta che le parole intere siano ormai superate, persino noiose, ridondanti, certamente troppo didascaliche. Perché dilungarsi con appellativi lunghi e contorti come “Dallas” o “Atlanta”, quando basterebbe una sigla per rappresentare in modo ugualmente efficace l’area di provenienza?
A Philadelphia hanno ovviato ai problemi di spazio fin dagli albori della NBA, scrivendo solamente “PHILA” sulle maglie di Warriors prima e 76ers poi. Al contempo, in quel di New York hanno preferito evitare di citare il nome completo della formazione, “Knickerbockers”, limitandosi al più immediato “KNICKS”. Ma quelle citate, al pari di “CAVS”, “MAVS”, “WOLVES” e via dicendo, sono semplici abbreviazioni.
Nel nuovo millennio, specialmente dalla seconda metà degli Anni ’10, un proliferare di sigle ha costretto gli spettatori più occasionali a qualche sforzo d’immaginazione per capire chi stessero guardando giocare in quel momento. La mania degli acronimi e dei codici aeroportuali ha fatto rapidamente proseliti, diffondendosi a macchia d’olio per l’America cestistica e generando casacche di cui non tutti sentivano il bisogno.
Oggi faremo un ‘viaggio nel breve’, per riscoprire fin dove molte franchigie NBA hanno spinto il loro ‘feticismo’ per le sigle. Pronti? No, vero…? Pazienza, partiamo comunque!
Atlanta Hawks
Una versione rossa delle maglie blu da trasferta era troppo mainstream, così ecco l’idea rivoluzionaria: perché non far comparire sulla divisa Alternate la sigla aeroportuale della città, ovvero “ATL”? A partire dal 2007, per i successivi otto anni, quella casacca rossa viene indossata da ottimi giocatori come Joe Johnson, Josh Smith, Jamal Crawford e i quattro All-Star Al Horford, Paul Millsap, Kyle Korver e Jeff Teague, che nella stagione 2014-15 guidano gli Hawks alle finali di Conference. Per lasciarsi alle spalle un’epoca in cui la squadra è diventata ospite fissa dei playoff, ma non è mai riuscita a trasformarsi in una contender, nel 2015 ad Atlanta si opta per un drastico restyling.
Viene introdotto un set di divise dall’aspetto futuristico, caratterizzato da una bizzarra trama a triangoli sullo sfondo e dalle scritte color giallo-neon. Sulla maglia rossa, che in alcune occasioni verrà inspiegabilmente abbinata ai pantaloncini neri, riecco la sigla “ATL”, i cui caratteri richiamano il logo della franchigia. Questa tenuta (ribattezzata Statement Edition nel 2017, con l’avvento di Nike) accompagna una fase di transizione, in cui il vecchio gruppo viene smantellato e si inizia a ricostruire attorno a Trae Young, quinta scelta assoluta del draft 2018.
Un discorso a parte merita la City Edition 2020-21. Per la prima volta nella storia, su una maglia NBA compaiono le iniziali di una persona: Martin Luther King, omaggiato dagli Hawks con questa divisa speciale. Il reverendo, figura di riferimento nella lotta per i diritti civili degli afroamericani, è nato e vissuto proprio ad Atlanta, diventando il principale motivo d’orgoglio per la città della Georgia. Il 4 aprile 1968, MLK fu assassinato a Memphis, per cui anche i Grizzlies, in occasione del cinquantennale della sua scomparsa, hanno dedicato una City Edition all’iconico paladino delle uguaglianze.
Brooklyn Nets
Se il tuo schema di colori si limita al bianco e al nero, non è facile trovare delle efficaci varianti stilistiche. Lo sanno bene i Nets, che con l’avvento di Nike nel 2017 propongono una divisa alternativa color grigio scuro, su cui compare la sigla “BKLYN”, comunemente utilizzata per indicare il sobborgo newyorchese. Quando la indossano per la prima volta, i Nets stanno cercando di riemergere dal pantano in cui si sono cacciati quattro anni prima, con la celeberrima trade che ha portato a Brooklyn i crepuscolari Paul Pierce e Kevin Garnett. Nel 2019, guidata da D’Angelo Russell, Spencer Dinwiddie, Caris LeVert e Jarrett Allen, la squadra di coach Kenny Atkinson riesce a tornare ai playoff.
A culminare la ‘resurrezione’ dei Nets, quell’estate, arrivano Kyrie Irving e Kevin Durant, che decidono di unire le forze per cercare di guidare Brooklyn al titolo. Le nuove stelle calcheranno il parquet del Barclays Center indossando, fra le altre, una maglia grigio chiaro su cui ritroveremo la sigla “BKLYN”, stavolta raffigurata nei caratteri tipici della street art locale. L’abbreviazione “BKLYN”, in versione graffito, compare anche sulle City Editions che i Nets dedicano all’artista locale Jean-Michel Basquiat.
Nella stagione 2020-21, una versione nera viene indossata da Durant, da Irving e da James Harden, che completa i ‘Big Three’ con cui Brooklyn punta al titolo NBA. Complice una lunga e tortuosa serie di eventi, tra cui infortuni e malcontenti di vario genere, il progetto sfuma rapidamente. Nel 2022, quando la curiosa City Edition viene riproposta in versione bianca, Harden ha già fatto le valigie in direzione Philadelphia, Durant ha espresso alla dirigenza la sua insoddisfazione e Irving si è inabissato in un vortice di distrazioni extra-parquet.
Charlotte Hornets
La dicitura “CHA” non corrisponde alla sigla aeroportuale della città del North Carolina, bensì all’abbreviazione ufficiale della squadra, utilizzata ad esempio nelle grafiche televisive. Nel 2019, quando Kemba Walker saluta la compagnia e si trasferisce a Boston, gli Hornets decidono di esporla a grandi lettere sia sulla Statement Edition viola, sia sull’insipida City Edition grigia, che dimostra al meglio come, di alcuni design, avremmo potuto fare volentieri a meno.
Per non sentirsi esclusi dalla ‘aeroporto-mania’ che sembra dilagare nella NBA, nel 2022 gli Hornets propongono una maglia color granito con dettagli menta. Sul petto campeggia la sigla dorata “CLT”, che indica il Charlotte Douglas International Airport. Lo schema di colori, che riprende quello utilizzato per la City Edition 2020-21, intende omaggiare le cave di granito presenti nella zona, la corsa all’oro del North Carolina e il primo Conio di Stato, lo US Branch Mint. Dove “mint” sta per “conio”, ma anche per “menta”… E daje a ride.
Cleveland Cavaliers
Per festeggiare i loro cinquant’anni, con la City Edition 2019-20 i Cavs anticipano un’idea che la NBA proporrà a tutte le altre franchigie due stagioni più tardi: mixare gli stili precedenti. Ecco dunque lo sfondo blu scuro, come le divise Alternate indossate da LeBron James e compagni tra il 2005 e il 2010 e poi rimodernate tra il 2011 e il 2017. Ci sono poi i fianchi a righe colorate di fine Anni ’70, la “V” gialla sotto al collo delle maglie introdotte nel 2017 e l’iconico canestro di fine Anni ’80 sull’elastico dei pantaloncini.
I numeri sulla maglia riprendono il font della strana uniforme nerazzurra indossata a cavalo dei due millenni, e sopra compare una scritta, nello stile utilizzato per le divise inaugurali dei Cavs tra il 1970 e il 1974. Non è il nome della città, e nemmeno quello della squadra, bensì una bella (ma forse non indispensabile) sigla: “Cle”.
Dallas Mavericks
Sarebbe bastato osservare la proposta inaugurale dei Mavs (stagione 2017-18) per intuire subito la deriva che avrebbe preso il progetto City Edition. Colori che si discostano completamente dallo schema originale, grafiche campate per aria, l’insensata sigla “DAL” sul petto e la seguente presentazione: “Solo a Dallas sentirete l’energia che lo skyline di Downtown trasmette ai suoi dallasiani” (o dallasini? Dallasiesi? Boh!). Caratterizzata dal bagliore al neon sulle lettere, sui numeri e sui contorni, la nuova maglia City Edition dei Mavs riflette lo swag della Big D e le vibrazioni delle notti di Dallas”.
Detroit Pistons
Nel 2020, un tifoso dei Pistons ha lasciato un messaggio carico di frustrazione alla segreteria della franchigia, lamentando la mancanza di nuovi design accattivanti e auspicandosi l’introduzione di una divisa ‘cazzuta’, magari nera. Due anni dopo ecco questa Statement Edition, nera per l’appunto, attraversata dalle righe rossoblù che comparivano (invertite) sulle tute da riscaldamento dei ‘Bad Boys’.
Il design accattivante si ferma lì, perché al posto di parole come “Detroit”, “Pistons”, “Motor City” e via dicendo, compare una maledetta sigla: “DET”. Come nel caso di Charlotte, non si tratta del codice aeroportuale, bensì dell’abbreviazione televisiva.
Los Angeles Clippers
Oltre a quello di Atlanta, l’estate del 2015 porta un altro restyling futuristico e di dubbio gusto: quello dei Clippers. Riposte nel cassetto le divise che hanno visto nascere ‘Lob City’, si passa a un design che sembra partorito dalla funzione “Crea la tua squadra” di NBA 2K. Sulla versione bianca appare la scritta “CLIPPERS” in uno stile che rimanda a FIFA 2000, con l’Aeroplanino Montella in copertina.
Sulle altre due, invece, si vede una bizzarra installazione artistica a forma di labirinto, che va a formare la sigla “LAC”. Con l’avvento di Nike, nel 2017, la maglia rossa sparisce definitivamente dal guardaroba dei californiani. Quella nera rimane, ma viene leggermente rivisitata: la dannata sigla, prima relegata all’interno di un pallone stilizzato (“Mamma mia, che monnezza che ho fatto” avrà pensato il designer, novello René Ferretti), conquista ancora più spazio al centro della maglia, in modo che nessuno possa più ignorarla.
Una sigla viene utilizzata con molto più costrutto nel 2018, quando i Clippers presentano una City Edition dedicata alle Olimpiadi del 1984, svolte proprio nella metropoli californiana. Le iniziali “LA” vengono rappresentate con dei caratteri che richiamano il logo di quei Giochi e i colori (blu scuro, bianco e rosso) sono gli stessi indossati da Michael Jordan e compagni durante la corsa alla medaglia d’oro. Nell’angolo della maglia viene omaggiato Ralph Laurel, “The Voice of the Clippers”, che si appresta al ritiro dopo quarant’anni spesi come annunciatore per la franchigia.
Minneapolis / Los Angeles Lakers
La prima sigla su una maglia NBA comparve nel lontanissimo 1948, quando la lega si chiamava ancora Basketball Association of America (avrebbe assorbito la National Basketball League l’anno seguente, assumendo la denominazione attuale). Sulle maglie da trasferta, i nuovi arrivati Minneapolis Lakers (che avevano trascorso la loro prima stagione di vita nella NBL) decisero di riportare solo l’abbreviazione della città che li aveva visti nascere: “MPLS.” (con tanto di puntino alla fine).
Con quella tenuta celeste e gialla avevano vinto il titolo NBL al primo tentativo, e vinsero anche due titoli BAA/NBA nelle due stagioni successive. La divisa degli albori, abbandonata nel 1951, risorge dalle ceneri per due volte nel corso della lunga e gloriosa storia della franchigia, che dal 1960 è di scena a Los Angeles; nel 2001-02 viene indossata come Throwback uniform da Kobe Bryant e Shaquille O’Neal, mentre nel 2017-18 viene ripresa come Classic Edition dai giovanissimi Lonzo Ball, Brandon Ingram e Kyle Kuzma.
Minnesota Timberwolves
Dopo la divisa grigia come il pelo del lupo e la splendida uniforme viola che omaggiava Prince, i T’Wolves, evidentemente a corto di idee, decidono di accodarsi alla dilagante moda delle abbreviazioni per disegnare le loro City Editions.
Si parte nel 2019, con la sigla aeroportuale “MSP” (Minneapolis – St. Paul) su una maglia azzurro ghiaccio, e si continua l’anno seguente con un discutibile (nonché imbarazzante, per i tifosi siciliani) “MINN” su una tenuta nera, contornata dal verde brillante delle luci del nord.
New Orleans Hornets / Pelicans
Tra i più grandi cultori della sigla troviamo la franchigia con sede nella ‘Big Easy’, che fino a oggi ha presentato ben otto divise con l’abbreviazione “NOLA” (che indica “New Orleans, Louisiana”, non il comune in provincia di Napoli). La tradizione comincia nel 2009, quando gli allora Hornets, guidati da Chris Paul, scelgono di omaggiare la più famosa festa cittadina, il Mardi Gras.
I colori (viola, giallo e verde) e i font utilizzati per la sigla riprendono infatti quelli che adornano le strade durante le parate carnevalesche. Questo concept stilistico raggiunge la sua sublimazione nel biennio 2015-2017, nel pieno della ‘sleeve madness’ con cui Adidas riempie i parquet NBA di improponibili magliettoni.
Oltre che su queste variopinte uniformi, la sigla “NOLA” viene sfoggiata anche sulla divisa Alternate gialla e azzurra della squadra tra il 2010 e il 2013, prima che gli Hornets diventino “Pelicans”. L’idea di rappresentare quell’abbreviazione e i colori del Mardi Gras su una maglia è stata accolta da un entusiasmo incontenibile, tanto che il concetto viene riproposto su quasi tutte le maglie speciali indossate dai Pelicans con l’avvento di Nike.
Nel corso degli anni cambiano le combinazioni cromatiche e la disposizione di alcuni dettagli, ma il concetto alla base è sempre lo stesso. A un osservatore esterno verrebbe quasi da pensare che l’unico motivo per cui valga la pena visitare New Orleans sia assistere al celebre carnevale. Solo per la stagione 2020-21 si è deciso di cambiare strada, optando per una terribile trasposizione su maglia della bandiera cittadina. Visti i risultati, teniamoci stretto il Mardi Gras!
New York Knicks
Ai Knicks va dato il merito di non aver ceduto a una facile tentazione. Le iniziali di New York, come quelle di Los Angeles, sono a tutti gli effetti un sinonimo della città stessa. Vengono utilizzate in svariati contesti e sono diventate l’inconfondibile simbolo di un’altra franchigia della Big Apple: gli Yankees.
I tanto vituperati blu-arancio, invece, si sono affidati alla sigla “N.Y.C.” solo una volta, nella stagione 2017-18, oltretutto per una nobile causa. Con la loro prima City Edition hanno voluto infatti omaggiare i vigili del fuoco, diventati loro malgrado degli eroi dopo gli attentati dell’11 settembre 2001.
Oklahoma City Thunder
Chi invece ha ceduto volentieri alla tentazione sono i Thunder, che nel giro di otto anni hanno proposto sette diverse maglie con la sigla “OKC” ben visibile sul petto. Nella sua ultima stagione in Oklahoma, Kevin Durant ha fatto in tempo a indossarne una arancione fiammante. Quell’uniforme Alternate viene ripresa poi da Nike, seppure con qualche modifica, per la Earned Edition 2018/19 e per la Statement Edition delle quattro stagioni successive.
Le tre lettere compaiono anche sulla Statement Edition blu scuro e arancio del biennio 2017-2019, sulla bizzarra City Edition grigia presentata nel 2017, su quella successiva, azzurra con trame ispirate ai nativi americani, e sulla versione ‘mixtape’ bianco-su-bianco progettata per il 2021/22, in occasione dei 75 anni della NBA.
Orlando Magic
Sorvoliamo sul fatto che i Magic abbiano voluto dedicare ben due uniformi agli agrumi, evidentemente un vanto della zona; del resto anche gli Atlanta Hawks hanno omaggiato a più riprese le pesche. Ma la vera domanda è: perché utilizzare la sigla “ORL”? Il risultato stilistico si può anche mandar giù (a proposito di frutta) osservando la City Edition grigio scuro e arancio proposta nel 2019, ma la versione successiva è una forzatura immotivata.
Se l’idea era quella di riprendere il font delle divise inaugurali, la stellina rappresenta la lettera “A”; perché mai scrivere quindi “ORLA” su una maglia? Non sarebbe stato meglio lasciare il nome intero della città, variando solo lo schema di colori per rendere il doveroso (?) tributo alle prelibatezze locali?
Phoenix Suns
In epoca moderna, i primi a sfoggiare la sigla aeroportuale sulle maglie sono i Suns, che nel 2003 introducono una terza divisa arancione con la scritta “PHX” sul petto. Questo design accompagna la squadra per tutta l’epoca d’oro targata Steve Nash, venendo abbandonata solo dieci anni più tardi.
Ma non temete, amici delle sigle: nel 2015, vantandosi per quanto fatto in passato (“In quanto squadra conosciuta per l’innovazione, non dovrebbe sorprendere il fatto che i Suns siano stati il primo team NBA a utilizzare un’abbreviazione della loro città di appartenenza sulle uniformi”), la franchigia presenta una tenuta nera, la cosiddetta Civic Pride uniform, su cui riappaiono le tre magiche lettere.
Quella che viene definita “una grande tradizione” continua anche nell’era Nike, sempre su una Statement Edition nera; tra il 2017 e il 2019, la sigla viene proposta con caratteri argentati a contorni arancioni, e dopo un’assenza lunga tre anni riappare circondata dai Valley Colors, le sfumature utilizzate per la splendida City Edition nel biennio 2020-2022.
Portland Trail Blazers
Va bene (?) raffigurare su una maglia il codice aeroportuale, ma i Blazers si spingono oltre, mostrando anche la moquette del terminal! Nella City Edition 2022-23, sotto alla sigla “PDX”, ecco dunque una delicatissima fascia obliqua color verde acqua. Al suo interno c’è la trama di un tappeto che, a quanto pare, rappresenta un’imperdibile attrazione per i milioni di turisti che ogni giorno affollano lo scalo dell’Oregon.
Per flexare ulteriormente la loro audace iniziativa, i responsabili dell’ufficio marketing appongono sotto l’etichetta lo slogan #ripcitycarpet (“il tappeto di Rip City”), citando lo storico soprannome sportivo della città.
Sacramento Kings
Fino a questo momento, le sigle che abbiamo incontrato venivano mostrate su delle uniformi speciali, destinate all’opportuno oblio nel giro di poche stagioni (se non di una soltanto). I Kings, però, hanno osato di più. Nel 2016, stanchi di leggere il nome della squadra sulla divisa viola da trasferta (rinominata poi Icon Edition con l’avvento di Nike come fornitore ufficiale NBA), l’hanno rimpiazzato con un bel “SAC” in grigio scuro.
Anche in questo caso, come in molti altri visti finora, non si tratta del codice aeroportuale (“SMF”, che a questo punto dovremmo aspettarci sulle prossime versioni), bensì dell’abbreviazione televisiva. Restano invece fuori concorso le varie City Edition utilizzate tra il 2017 e il 2022, su cui compare, in diversi stili e colori, la dicitura “SACTOWN”; sebbene discutibile (si presta facilmente alla storpiatura “Suck Town”, ovvero “la città che fa schifo”), è pur sempre un nomignolo usato comunemente per indicare la capitale californiana.
Per lo stesso motivo, in questa rassegna non troviamo le dimenticabili maglie “H-TOWN” proposte dagli Houston Rockets nel 2019 e nel 2020.
San Antonio Spurs
Alla fine ci sono cascati anche loro. Persino gli integerrimi nero-argento, che a cinquant’anni dal loro arrivo a San Antonio hanno ancora quella scritta “SPURS” (con la “U” a forma di sperone) sulle maglie, sono finiti nel vortice delle sigle. Affascinati dalla ‘locura’ dei Pelicans, rispondono alla loro “NOLA” con “SATX”, che sembra un indice di borsa o un’applicazione per pagamenti rapidi, ma che invece è l’abbreviazione di “San Antonio, Texas”.
Una deviazione stilistica che si accosta alle City Edition ‘pazzerelle’ proposte nelle ultime tre stagioni, dominate dai Fiesta Colors. Che stia davvero finendo un’epoca? Per bloccare sul nascere ogni suggestione, i colori della Statement Edition 2022/23, dedicata alla comunità messicana presente nel territorio, rimangono quelli cari, vecchi e tristi di sempre.
Washington Wizards
Per distinguerla dal piovoso stato del nordovest, la capitale degli USA viene spesso indicata come Washington, D.C., dove le due lettere indicano l’entità geopolitica del District of Columbia. Spesso, le iniziali “DC” vengono utilizzate nel gergo comune come sinonimo della città stessa: “We’re going to DC for Christmas”. Proprio a Natale, nel 2014, la sigla è apparsa per la prima volta su una maglia degli Wizards. In realtà quel “dc” scritto in minuscolo, con la “d” che diventa un braccio a caccia del pallone, è semplicemente uno dei loghi secondari della franchigia, ma l’idea rimane impressa nella mente dei designer.
Cinque anni dopo, esaurite tutte le possibili varianti cromatiche del progetto “The District”, ecco riaffiorare improvvisamente il fantasma di un Natale passato. Quelle modeste letterine, ingrandite quanto basta, vengono orgogliosamente sfoggiate su due City Edition consecutive, prima su sfondo bianco (che forse rappresenta i monumenti sparsi per il Mall), poi su base grigia (che sicuramente rappresenta la poca fantasia dei creatori).
Questa era la tortuosa, variopinta, fantasiosa e abbreviata storia delle sigle sulle maglie NBA. Secondo voi (anzi, IYHO), ce n’è qualcuna da salvare? Fatecelo sapere ASAP! LOL, BRGDS and SYS.