Parliamo soprattutto di ciclismo, ma anche un po’ di calcio. Un modo per capire come i vecchi preconcetti possano essere ribaltati, imparando qualcosa sbirciando al di là del proprio giardino.
Più o meno una settimana fa, andava in bacheca l’ennesima edizione del Tour de France. Con oltre un secolo di storia alle spalle, il fascino della Grande Boucle rimane immutato, una corsa a tappe che — pur a fronte dell’esistenza di un mondiale a due ruote —, di fatto è considerata da appassionati e addetti ai lavori una sorta di coppa del mondo “a pedale”, grazie a una maglia gialla che da sola vale un’intera carriera di successi.
La lunga carovana che ogni anno, per tre settimane, si snoda lungo le strade transalpine (pardon, con qualche piccola divagazione extradoganale…), trasforma l’asfalto francese in un carosello colorato che diventa pura gioia per gli occhi, un serpentone di maglie pronto a farsi ammirare dagli sguardi di un intero pianeta.
Proprio la maglia, da qualche tempo, sembra aver riassunto una sua dignità anche all’interno del panorama ciclistico. Nel corso dell’ultimo decennio, sempre più le divise di sprinteur e grimpeur si sono man mano distaccate dal fin troppo folle turbinio cromatico che caratterizzò il passaggio dagli anni novanta al nuovo millennio.
Come molti insider hanno avuto modo di testimoniare, quasi un modo per chiudere rivudamente con un’epoca che rischiò di portare al collasso l’intero movimento, reo di aver dato più importanza alla scienza (o pseudo tale) che al sudore, alle prestazioni che all’allenamento, al successo che alla credibilità.
Da qualche anno ormai, soprattutto nelle formazioni di primo piano, la filosofia stilistica regnante è invece quella del less is more, scendendo in strada con divise il più pulite possibile, segnate nella maggior parte dei casi da un unico main sponsor, con l’intento di dare un’immagine globalmente semplice e leggera.
Una scelta, questa, doppiamente vantaggiosa anche per la stessa réclame, che godendo di quest’esclusività — ovviamente, remunerata di conseguenza — vede ricadere addosso a se il massimo della visibilità. Una filosofia in netta controtendenza rispetto all’opulenza pubblicitaria che invece altri sport, il calcio italiano è solo l’ultimo in ordine di tempo, stanno abbracciando a passo sempre più spedito quale unica panacea del mal di portafogli…
Dalla logica del “troppo stroppia” rifugge anche una delle cenerentole che hanno animato il peloton del Tour, la IAM Cycling, che proprio in questa stagione ha portato al debutto una casacca decisamente interessante dal punto di vista grafico, racchiudendo in essa l’intento di unire stile, sponsor e le proprie, fiere, origini svizzere.
La formazione elvetica ha appena un anno di vita, essendo sorta solo nel 2013. Iscritta alle gare con licenza Professional — per far capire ai neofiti, un po’ la “Serie B” del ciclismo —, la IAM può tuttavia godere di alcune wild card che le permettono l’accesso anche ad alcune competizioni della “Serie A”, quel World Tour che ha proprio nel giro di Francia uno dei suoi più prestigiosi appuntamenti.
Colore rappresentativo dell’intero progetto è il blu navy, lo stesso che contraddistingue l’immagine cooordinata di quella Independent Asset Management fautrice della squadra rossocrociata. La maglia vede quindi la grande presenza di tale tinta, come già avveniva sulla casacca della scorsa stagione.
Tuttavia, mentre dodici mesi fa i ciclisti della IAM sfoggiavano delle mute abbastanza spente e quasi anonime, quest’anno il maglificio svizzero Cuore — il cui motto, Swiss precision meets Italian passion, esplicita chiaramente il suo processo produttivo — ha ideato un nuovo e stimolante kit che, pur rimanendo nel solco della tradizione, gioca coi simboli nazionali reinventandoli alle esigenze della pratica sportiva.
Come detto, non ci discostiamo molto dalla classica divisa sulle spalle dei ciclisti. Siamo di fronte a una casacca fasciata, un template che ha segnato la storia della disciplina soprattutto agli albori, quando su strade di giaia e pietra, e sul coraggio dei pionieri, vennero scritte le pagine più eroiche di uno degli sport più amati dalla gente.
Come un lampo di colore, la maglia è attraversata da una striscia orizzontale che taglia petto, schiena e maniche, rompendo l’egemonia blu che altrimenti regna nel resto dell’uniforme. La fascia, riempita in egual misura dalle tinte del bianco e del rosso, vede i due colori unirsi in un abbraccio che, con un gioco grafico discreto quanto d’impatto, va a dar vita alla silhouette di quella croce scorciata incastonata nel vessillo elvetico.
Tutto il resto della divisa ostenta quella decisa sobrietà tipica della gente dei cantoni. La cosa non fa altro che esaltare quella luminosa fascia biancorossa: un tratto grafico minimale quanto accattivante, quasi un marchio di fabbrica che rende immediatamente riconoscibile in mezzo al gruppo l’ancora acerbo team a due ruote.
La fasciatura biancorossa, come anticipato, viene replicata sulla schiena, dove trovano inoltre posto i nomi dei ciclisti della squadra. Le maniche finiscono anch’esse per essere bordate dalla fascia, mostrando così due marcati “manicotti”, rispettivamente pittati in bianco a sinistra e in rosso a destra.
Semplicità dominante anche nel resto dell’uniforme, con una salopette composta quasi interamente da due toni di blu navy — chiaro nella zona esterna, scuro in quella interna —, che reca solo dei richiami rossi alla base del pantaloncino. Tutti gli indumenti si differenziano infine tra le versioni original (ovvero, quelli vestiti dai ciclisti in gara), intessuti con una caratteristica trama “a esagono”, e i replica dalla più tradizionale fattura.
I loghi IAM, così come i marchi dei fornitori tecnici, pur essendo inevitabilmente presenti sul tessuto non vanno ad intaccare il disegno dell’uniforme, anzi adattandosi ad essa cercando il minor impatto possibile. Una soluzione da cui trae beneficio tutto l’insieme, un’unione d’intenti tra maglia e sponsor riassumibile, in poche parole, in un lavoro ben fatto.
Beninteso, non ci nascondiamo dietro all’indubbia cura stilistica riservata all’uniforme. Ricollegandoci a quanto più volte menzionato in precedenza, parliamo pur sempre di una divisa completamente ricoperta dai colori di uno sponsor, in un ciclismo che fin dalla nascita si è aggrappato senza troppe remore all’àncora monetaria offerta dalla pubblicità.
Tuttavia, pur di fronte a una disciplina che quasi non conosce più il significato dei colori sociali, e che fa della svendita del nome una ormai consolidata prassi, rimane comunque impietoso il parallelo con l’odierno calcio italiano, dove la maglia è diventata, né più né meno, una bacheca sopra cui appendere i più diversi annunci. In questo senso, la generale pulizia riscoperta dal ciclismo rende ancor più brutale il raffronto.
Siamo, insomma, arrivati al paradosso secondo cui una divisa “brandizzata” dal caschetto ai pedali, risulta agli occhi più armonica, sobria — e, passatemi il giudizio personale, bella — di una muta calcistica tappezzata a destra e a manca, alla stregua di quanto avviene sui muri di Times Square e Piccadilly Circus…
La questione è complessa e articolata, impossibile da dirimere in poche righe; tralasciando i diversi rapporti di forza tra i due sport, soprattutto circa visibilità e finanziamenti (pur se alcune formazioni World Tour godono di budget perfino superioni a molte “provinciali”), rimane il fatto che entrambi gli schieramenti portano sia pro che contro all’annosa convivenza tra maglia e sponsor.
Il calcio può prendere qualcosa di buono dal ciclismo, cercando una migliore integrazione tra i valori della maglia e gli interessi di chi vuole investirci sopra, oppure il pallone finirà per cedere sempre più spazi financo al nome? Senza scomodare il plotone di squadre Red Bull, non è poi tanto remota l’epoca degli “abbinamenti” già vissuta dal calcio nostrano!
E le due ruote, pur nella loro rinnovata filosofia, riusciranno mai a riportare alla luce dei colori, dei nomi, che non siano prettamente di ascendenza commerciale? Per il momento, limitiamoci ad accogliere con favore l’operato della IAM Cycling e di tante altre formazioni su strada, confidando che questa novità possa diventare la regola, in tanti altri sport differenti.
Vi piace la divisa 2014 scelta dalla IAM Cycling? E come vi ponete davanti alla coabitazione tra maglia e sponsor?